Terremoto: ricostruire persone e opere - di Debora Tosato -

Le immagini del terremoto continuano a scorrere. Dopo l’imminenza del disastro e la lotta per sopravvivere alle macerie, alla perdita e al seppellimento dei propri cari, avviene la fase più difficile. Le persone imparano a sopravvivere al freddo, al quotidiano, al ritmo del tempo che non obbedisce più alle regole e alle consuetudini familiari.

 

La costruzione della scuola di Amatrice, una struttura in legno che somiglia a una baita, rappresenta forse uno dei gesti concreti di

 

maggiore valenza simbolica per il necessario“ritorno alla normalità”. L’idea stessa che venga restituito in breve tempo alla collettività uno spazio che raccoglie e accoglie bambini e ragazzi affinché possano continuare a studiare, a incontrarsi, a giocare e a condividere esperienze formative, è fondamentale per restituire un po’ di sicurezza, speranza e serenità alla popolazione.

 

Lo stesso discorso vale per la costruzione di una sede provvisoria della biblioteca civica, luogo di significato “alto” in cui avviene l’accesso privilegiato a una diversa dimensione del tempo e del viaggio tramite la lettura, che spesso accompagna e accende le emozioni e il nostro immaginario.

 

Sulla stessa linea si colloca il recupero degli edifici storici, lesionati e parzialmente crollati con tutto ciò che contenevano di prezioso. L’operazione più delicata, nell’immediato, è mettere in sicurezza le opere d’arte mobili, riscattandole dalle macerie grazie all’intervento dei vigili del fuoco e di personale specializzato del ministero, come sta avvenendo nelle zone terremotate del centro Italia.

 

Più complesso e laborioso appare il restauro strutturale delle chiese, che consta di varie fasi: la valutazione dei danni e la successiva stima dei costi, la raccolta e la schedatura dei materiali originali recuperabili, e infine l’opera vera e propria di ricostruzione dell’edificio, che spesso richiede anni di lavoro. Non mancano testimonianze vive del passato antico e recente, a ricordare il forte impatto dei bombardamenti, degli incendi e dei terremoti a danno di monumenti insigni della nostra storia, che riportarono gravi ferite, percepite come vere e proprie mutilazioni da parte della cittadinanza, naturalmente portata a sviluppare un rapporto affettivo e di appartenenza con quegli stessi beni.

 

Valga l’esempio della chiesa degli Eremitani a Padova, devastata dal bombardamento del 1944, che distrusse una parte consistente dell’area absidale e la Cappella Ovetari, rivestita dal celebre ciclo di affreschi di Andrea Mantegna, capolavoro assoluto del primo Rinascimento italiano.

 

In quel caso fu utilissimo il lavoro di mani esperte, che raccolsero uno a uno i frammenti superstiti degli affreschi, ricoverandoli in casse tramite un’operazione straordinaria di catalogazione. Solo in tempi recenti, con l’ausilio delle moderne metodologie di ricostruzione virtuale, è stato possibile ricollocare buona parte di quei frammenti nei riquadri delle pareti, anticamente documentati da eccezionali campagne fotografiche in bianco e nero, che per anni hanno costituito l’unica testimonianza visiva per la conoscenza di questo patrimonio artistico.

 

E’ inoltre degno di nota il caso del Duomo di Gemona del Friuli, distrutto e ricostruito con l’ausilio di larga parte dei materiali originali, raccolti e numerati per essere in seguito riutilizzati per il ripristino strutturale della splendida chiesa, visitata di recente anche dal Presidente della Repubblica Mattarella, in occasione del cinquantenario del terremoto che devastò il Friuli - Venezia Giulia.

 

Le interviste agli abitanti di Gemona e ai familiari dei superstiti del sisma testimoniano la passione, l’orgoglio e la dignità di chi ce l’ha fatta con le proprie forze a ricostruire le case, i palazzi e la chiesa esattamente dov’erano in passato, ricucendo in tal modo il tessuto sociale.

 

Sappiamo che ogni mutamento produce uno piccolo scossone, che può divenire una lesione più o meno invasiva a seconda della nostra capacità di adattamento e recupero. Il cambiamento improvviso di lavoro, l’abbandono di un amico, lo spostamento in un’altra città sono spesso vissuti come un torto insopportabile e una ferita da coloro che hanno in qualche modo subito questa scelta. La perdita della casa e del lavoro in seguito a evento traumatico assume dimensioni enormi, senza via di scampo e con l’incognita del tempo, non quantificabile.

 

In questi casi è indispensabile restituire fiducia, motivazioni e dignità alle persone, affinché possano reagire, sentirsi motivate e chiamate in causa a ricostruire in prima persona, possibilmente dove è avvenuta la lesione, senza sentirsi un peso per la società.

 

Tra le tante ricostruzioni possibili – e non ci riferiamo solo alle case, alle chiese e alle piazze – la prima fondamentale è quella umana, esistenziale, emotiva, che parte da un attivo coinvolgimento di tutti i soggetti – a partire dai più deboli – affinché possano “lavorare” su piccoli obiettivi quotidiani, gli uni in collaborazione con gli altri, su un progetto stabile di ampio respiro, finalizzato a rimettere in piedi le città laddove erano state edificate.

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