I signoroni grandi firme alla difesa dei beni culturali - di Giapponese nella foresta -

Il 22 aprile 1937 esce in edicola la rivista “Le grandi firme”, reclamizzata da un seducente donna, che incarna il prototipo di appeal mediterraneo, prodotta dalla geniale matita di Gino Boccasile. Della testata diviene la testimonial e da allora è ricordata come “Signorina grandi firme”.

Nel titolo di queste poche righe, invece, si allude a due illustri menti del giornalismo italiano,


meritoriamente – almeno fino a pochi giorni fa – inseriti nell’Olimpo della carta stampata italiana per l’arguzia e la bontà dei contenuti solitamente espressi: Gian Antonio Stella (Corriere della Sera) e Corrado Augias (Repubblica). Al di là dell’appartenenza di casacca editoriale, si sono ritrovati accomunati da insolita sciatteria e pressapochismo culturale per due incursioni a commento delle assemblee del personale Mibac, organizzate nelle scorse giornate del 24 e 28 giugno. Vale la pena ricordare i motivi della vertenza: ritardi nei pagamenti delle competenze accessorie con punte fino a sei mesi, riappropriazione delle risorse di funzionamento sempre più ridicole, politiche serie di riorganizzazione del Ministero, piani occupazionali, etc.

Nulla di tutto questo è ovviamente trapelato dalle numerose articolesse – tranne rare eccezioni – che hanno affollato carta stampata, tele- e radiogiornali dopo la madre di tutti gli scandali: la chiusura del Colosseo e degli scavi di Pompei. Orrore! Raccapriccio! Profondo disgusto morale! Come?! In un Paese in stagnazione economica i pitocchi dei Beni Culturali alzano la voce e ci espongono al pubblico ludibrio internazionale chiudendo due dei siti maggiormente redditizi per il nostro scalcinato turismo? E per cosa, poi? Per degli straordinari?! Horribile dictu.

Ecco, a bocce ferme, vale la pena riprendere in mano la matassa e dipanare il filo nel modo che merita. Non parliamo, innanzitutto, di straordinari ma di ordinari; cioè di competenze accessorie cioè soldi sudati con cui si pagano affitti, mutui, prestiti, bollette, tasse scolastiche, utenze domestiche e, se avanza ancora qualcosa, cibo, vestiti e una margherita con gazzosa il sabato sera.

Poiché la metà del personale Mibac è composta da lavoratori che fanno vigilanza su turnazioni per 365 giorni l'anno, le competenze accessorie comprendono anche le relative indennità, i progetti straordinari e i progetti locali. Vuoi far vedere la Fornarina a Natale? Benissimo, io rinuncio a mangiare il panettone senza canditi ma tu mi paghi il disturbo, entro il mese successivo alla prestazione erogata. Perché almeno la colomba pasquale me la voglio comprare e mangiare assieme alla progenie. Così dovrebbe funzionare il mondo, ma se il diritto ad essere retribuito diviene elemosina certo non si può accusare il personale di ingordigia e insensibilità verso i turisti.

Di fronte a questo scenario anche il più giacobino dei giornalisti avrebbe esercitato il dovere dell’indagine, la facoltà della solidarietà (o del silenzio) o, quantomeno, avrebbe rispettato il diritto alla protesta o all’assemblea, diritto sancito da diverse leggi ancora vigenti e di cui gli stessi giornalisti, giustamente, approfittano quando si vedono lesi nelle prerogative garantite dai contratti.

Il giornalista Stella dice che «In momenti come questo la reputazione dell'Italia dovrebbe venire prima di qualunque altra cosa. Perfino delle battaglie contrattuali giuste». Teoricamente si può anche concordare, a patto che l’illustre Gian Antonio accetti di essere pagato con sei mesi di ritardo, di fare i doppi turni al posto di altri colleghi, di non beneficiare (magari, chi lo sa) di alloggi di servizio concessi ad affitti stracciati dal potentissimo INPGI, di portarsi da casa i fazzolettini per asciugarsi le mani (in molti Istituti del Mibac non c’è un euro neanche per la carta da fotocopie). Perché in situazioni come questa – quella che vivono i lavoratori dei Beni Culturali – non si può spalmare la colpa a metà tra buoni e cattivi. La colpa sta da una parte sola: che la si chiami Governo, MEF, Mibac o Paperinik è ininfluente. Di certo e assoluto c’è che la cattiva volontà e la protervia stanno da una parte sola. Ne discende che non può convivere una battaglia contrattualegiusta con l’attenzione per i torpedoni di Singapore o le carovane di pensionati da Düsseldorf o Nanchino. Anche perché in questo modo si getta benzina sul malfunzionamento della tutela statale, prestando il fianco al famelico mondo dell’imprenditoria privata – quasi sempre inaffidabile, fatte salve pochissime illuminate eccezioni – che non aspetta altro per tuffarsi sulla lauta mensa del business dei Beni Culturali, agevolata anche dalla famosa legge Ronchey, salutata nel ‘93 come panacea di tutti i mali ma oggi, francamente, da ridiscutere.

Continua Stella: «Ed è francamente inaccettabile che il comunicato ufficiale di tutte le organizzazioni sindacali diffuso a Napoli per spiegare l'agitazione non contenga neppure un cenno di scuse, manco uno, verso quei visitatori bloccati a Pompei, Oplontis o Ercolano dopo essere arrivati da Vancouver o da Tokio. Non si fa così». Ha ragione Gian Antonio! Neanche una parola a discolpa….A parte il fatto che se avesse fatto una rapida scorsa dei comunicati unitari di altre città (un esempio su tutti: Cagliari), si sarebbe accorto che scuse ce n’erano eccome, ma mi vien da chiedere: E LE SCUSE AI LAVORATORI DEL MIBAC LE HA FATTE MAI NESSUNO? UN MINISTRO, UN SOTTOSEGRETARIO, UN SEGRETARIO GENERALE? Non ci risulta, ma certamente sbaglieremo noi.

Poi l’articolo prosegue con intuizioni e argomentazioni, per fortuna, più savie, ma mai neanche alla lontana un affondo contro l’incultura della classe dirigente, contro il familismo, l’incapacità di spesa e di gestione. Pazienza. Dovremo aspettare qualche altro suo libro, l’ennesima strenna estiva o natalizia per ravvisarvi qualche goccia di graffiante sarcasmo. In compenso, sciorinate di numeri, tabelle, percentuali, indici. E ritorniamo al concetto tremontiano che la con la cultura non si mangia…..che pena infinita!

Pena destinata a non esaurirsi leggendo la risposta del prode Augias ad una lettera del sindacalista (?!) Ezio Pelino che sragiona, su un diverso giornale, con argomentazioni simili a quelle di Stella. Cosa fa, il buon Corrado? Di fronte ad affermazioni quali «Si può comprendere la rabbia dei turisti» oppure «Il diritto alle assemblee sindacali in orario di lavoro, novità relativamente recente, dovrebbe essere abolito», invece di inveire in maiuscolo e chiedere al signor Pelino a che razza di sindacalismo ha ispirato la sua azione nel mondo della Scuola (non il mio, certamente, né di altri colleghi che appartengono a sigle diverse dalla mia) si lancia in una condivisibile (solo a tratti) geremiade sui mali culturali, sfoggiando lemmi triti e ritriti quali «declino», «inaffidabilità», etc. e concludendo in pompa magna con il rispolverare l’opportunità dell’Unesco concessa ma sprecata, e così via. La frase più bella del pezzo è: «Custodi! Che custodiscano davvero!». Mancava solo «che mangino brioches» e il revanscismo sarebbe stato perfetto.

Nessuno di questi due guru che si sia peritato di esclamare qualche balbettio di solidarietà, che abbia dimostrato, anche embrionalmente, di voler comprendere le ragioni di una protesta in modo serio.

Ce ne faremo una ragione. Così come smetteremo di leggere i loro elzeviri e smetteremo di contribuire ai loro introiti rinunciando a qualche regalo che in altri momenti avremmo considerato “colto”.

Pietà l’è morta! E anche una certa sinistra. Per fortuna.

Fonti:

G. A. Stella, Unesco, l’ultimatum su Pompei e il disastro dei beni culturali, in Corriere della Sera, 30 giugno 2013.

C. Augias, Il lento declino dei beni culturali, in La Repubblica, 4 luglio 2013, p. 30.

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