Sanità, le domande ultime. Una testimonianza

Questa storia comincia un sabato sera, quando altrimenti. Un vecchio allettato ha evidenti problemi respiratori, si sente il catarro, si sente che non riesce ad uscire, le labbra bianche chiazze rossastre sul corpo. Il vecchio è allettato da tempo, non solo una questione di catarro che non esce, con le malattie che si porta appresso si potrebbe scrivere un trattato di medicina.


Breve consulto in famiglia, ci vuole qualcuno che se ne intenda, c'è poco da minimizzare, questa volta ce lo giochiamo se resta qui. Prima cosa è sabato, seconda cosa sono passate le ventidue, non ci piace vincere facile. Si tenta con la guardia medica, è cortese la dottoressa nel suggerire di chiamare la CRI dopo il primo veloce elenco dei sintomi, va bene, vada per l'autoambulanza. La notte sarà lunga. La dottoressa, si offre di collegarsi lei stessa e così fa, arriva la macchina con la croce rossa stampigliata sulla carrozzeria, l'equipaggio è formato da quattro cristiani, c'è il medico, una bella persona distinta, agisce con precisione, chiede le informazioni di rito, effettua un primissimo intervento, spiega la sua attività, dice ai familiari del vecchio in quale ospedale si dirigerà, quale il suo compito nell'emergenza. La commozione che assale ogni volta vedi un indifeso  portato via è mitigata dal comportamento dell'equipaggio dell'ambulanza, siamo sereni, sono professionali, hanno umanità.

In ospedale l'intervento di emergenza, cortisone, ossigeno, antibiotici, il vecchio deve stare in osservazione, la situazione è critica. Tutta la notte in un pronto soccorso vale più di un trattato di sociologia, vale più di mille discorsi politici, vale più di una messa, anche più di una messa cantata. Guardi la lama che sbuccia la vita dalla morte come cantava tanti anni fa Claudio Lolli a proposito di un pilota di formula uno. Ogni volta in queste situazioni ti poni le domande ultime.

Il pronto soccorso sembra all'esterno un garage tenuto male, il linoleum una volta blu, ingiallito, la linea gialla a guardia della privacy un'ombra sporca, sedie rotte, luce bassa. Dentro no, dove stanno i malati è un po' meglio ma non c'è posto: tre acuti seminudi attaccati all'ossigeno nella  stanza tre per quattro, dove si svolgono le visite. Ti viene da pensare che se si facesse un servizio televisivo, se si facessero delle foto avremmo reazioni indignate, avremmo richieste di commissioni d'inchiesta, avremmo altissimi moniti. Dentro gli infermieri, i dottori fanno quello che devono, loro  badano al sodo, niente da invidiare ad una zona di guerra. Verrà la pace, poi. Ci rideremo su a raccontare anedotti gustosi. Se ci salviamo.

Le domande ultime dicevamo, chi ci ha raccontato la storia vuol rimanere anonimo ma vuole anche spiegare meglio la situazione: il vecchio è allettato, invalido al massimo grado, è tenuto in carico dal centro di assistenza domiciliare competente. Personale del centro di assistenza domiciliare ha visitato per tre volte negli ultimi quindici giorni questo vecchio: una volta per il piede, una volta per la spalla, una volta per l'incontinenza. Possibile non si siano accorti delle condizioni della persona che visitavano? Non è divertente visitare un vecchio che non collabora, io lo posso solo immaginare, ogni volta il medico incaricato ha dato la soluzione giusta per il problema che doveva risolvere, mai ha chiesto delle condizioni generali, mai ha fatto dire trentatrè. E' importante? Si, è decisivo è come direbbero quelli che sanno parlare, un cambio di paradigma. Facciamo finta che uno dei tre medici avesse chiesto al vecchio di dire tretatrè, si sarebbe accorto che qualche cosa non andava, lui è un medico, mica un familiare. Certamente se ne sarebbe accorto e avrebbe detto: “ così non va signori, bisogna fare degli antibiotici e anche del cortisone, c'è un'infezione polmonare in corso”. La polmonite sarebbe stata presa per tempo, l'autoambulanza non avrebbe fatto la corsa, il pronto soccorso nella stanza delle visite tre per quattro, avrebbe avuto un letto in meno cui badare, avrebbe poturo curare ancora meglio gli altri due. Questo il salto di paradigma, la nostra sanità con i suoi pronto soccorso sudici, con le stanze che mancano, il problema acuto riesce pure a risolverlo, diverso sarebbe limitarlo, più efficace ed economico. Questa la prima domanda ultima: sono forse i medici, gli infermieri gli operatori a fare male il loro lavoro? No, come fai a dirlo, togli il naturale cinismo della professione che a noi familiari colpisce negativamente ma che è indispensabile a loro per sopravvivere, fanno il loro dovere in condizioni difficilissime. Leva dal problema quelli che lavorano. La seconda domanda ultima: sono forse le strutture a non reggere? Beh in tanti posti te lo domandi se si possa andare avanti con le barelle in certe condizioni, con la sporcizia, con la confusione. Si le strutture sono parte del problema. La terza domanda ultima: com'è l'organizzazione? Sembra non ci sia un protocollo definito, ti chiedono che hai mentre stai in piedi in mezzo ad altre persone, qualcuno ti chiama col tu, altri col lei, mentre ti chiedono che malattie hai avuto se hai vomitato o avuto la diarrea. Leggi una cosa sul muro o sul vetro che a volte divide le persone dagli operatori e dopo poco capisci:  per essere ascoltato devi fare il contrario. Si, l'organizzazione non brilla, brilla l'italica arte d'arraggiarsi. Si arraggiano i parenti, si arrangiano gli operatori. Alla fine, quasi magicamente la fase acuta si risolve, non sempre, le leggiamo le cronache ma nella situazione concreta l'incidente è un fatto statistico, a volte le cose vanno storte. La colpa di volta in volta viene attribuita all'uno o all'altro, appunto si parla di colpe e si rinuncia a vedere le cause. La nostra sanità, al di la delle petizioni di principio, al di la di quello che si legge sui tomi di medicina, si occupa della malattia e non prende in carico il malato. Le strutture, l'organizzazione della sanità devono essere conformate, non a chiacchiere, al centro di tutto: la persona malata. Questo il modo per affrontare con spirito diverso la questione dei ricoveri, la prevenzione oltre a tutti i buoni consigli è, anche, prendere per tempo la malattia prima che insorga la fase  che necessita dell'ospedalizzazione. Puoi prendere per tempo la malattia se hai come indirizzo quello di badare alla condizione generale del tuo assistito, se sei un medico di base, se sei l'operatore di un centro di assistenza domiciliare. La persona bisognosa di assistenza deve essere considerata nella sua globalità, a che serve riuscire far chiudere la ferita del piede diabetico se poi il vecchio deve essere ricoverato per polmonite? E quando sei in ospedale a che serve salvarti dalla polmonite se non si accorgono di una lesione alla spalla?

La discussione sul taglio dei posti letto diventa odiosa per questo, perchè ti rendi conto che non ci siamo, la discussione sull'organizzazione diventa oziosa se non si individua l'obiettivo da raggiungere. Si possono tagliare posti letto oppure moltiplicarli, saranno sempre pochi se non si modifica il modello generale. Al centro la persona malata e non la malattia, la gamba, la spalla, i polmoni, il cervello. Non è certo una riflessione originale, se ne occupano gli operatori da tempo, le associazioni, anche la politica, ci saranno decine di migliaia di pagine sull'argomento.

L'ultima domanda ultima è appunto questa: perchè non si fanno passi avanti?

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Commenti: 1
  • #1

    erreerre (domenica, 10 febbraio 2013 23:39)

    La sanità italiana è perfettamente descritta nell'articolo: una sanità che garantisce a tutti gratuitamente l'assistenza di cui hanno bisogno. Qui si parla di un anziano assistito a domicilio e poi di un intervento in pronto soccorso che salva la vita. Nel resto del mondo è un sogno. Eppure l'articolo mette in luce anche tutta l'inefficienza del sistema. E allora qui si scende negli inferi di certa sanità. Il modello migliore di sanità è quello che offre ai pazienti l'assistenza migliore al costo inferiore (sostenibile). Un paziente in ospedale costa molto, quando è possibile è più economico assisterlo direttamente a casa , inviare medici e personale infermieristico al domicilio (assistenza domiciliare integrata ADI). Questo servizio è poco costoso ma richiede una cultura e una organizzazione che non possono essere improvvisate. Nel Lazio dove la sanità negli anni si è preoccupata di far crescere posti letto retribuiti negli ospedali vaticani, ci si è presi poca cura dell'ADI. Il personale non sempre è adeguatamente formato né gode dei servizi del territorio che possono / devono rappresentare la base di appoggio. Può capitare quindi che nonostante l'ADI sia attivato, la sua erogazione risulti un pò "ottusa" e si verificano questi casi di ordinaria inefficacia e inefficienza.Semplice responsabilità della sciatteria dell'occasionale medico? Forse, ma non sfugge la sensazione che dipenda da un'organizzazione che pensa alla malattia e non al paziente. Poi il paziente è stato portato in Pronto soccorso che per sua natura è costosissimo, infatti deve fornire risposte URGENTI a casi GRAVI, quindi deve essere dotato di personale e attrezzature adeguati a gestire/smistare ogni urgenza in poco tempo. I PS però sono pieni di casi non urgenti, perché i pazienti non trovano risposte ad esigenze che, pur non tappresentando casi gravi, richiedono un intervento rapido. Alcune regioni ce li hanno e riescono a far funzionare meglio i PS.
    Mettere il paziente al centro significa questo: garantire l'efficacia degli interventi, quindi riorganizzare medici, servizi territoriali PS e Ospedali. Perché non si fanno passi avanti? Perché è più bello regalare posti letto al Campus Biomedico, dell'OPUSDEI.