La cultura che non fa (solo)mangiare. Il paradosso di Bitonto. - di Nonpercaso -

Metti un mecenate, un sindaco illuminato, istituzioni locali e nazionali

per una volta attente, un palazzo cinquecentesco in rovina dal loggiato

magnifico, lavoratori coinvolti e motivati.

Ed ecco il paradosso di Bitonto.

La storia, per gli appassionati, è quella che riguarda il modo con cui

gestiamo il nostro patrimonio culturale ed il dibattito che sembra

avvolgere in modo esclusivo i nostri cosiddetti poteri forti su che

farne dell'immensa eredità che abbiamo, del tutto impropriamente,

ereditato dai nostri avi. E il tutto sembra ridursi agli irriducibili

assiomi che caratterizzano due posizioni apparentemente inconciliabili tra loro, ovvero se è meglio mantenere sui nostri beni la completa gestione pubblica o la gestione interamente affidata ai privati.

E, nel magma dei modelli gestionali, troviamo tanto altro, dalle Fondazioni del tutto private alle società partecipate, fino alle sponsorizzazioni venate da vero, o strumentale, mecenatismo.

Quindi un mondo complesso dove sembrano prevalere pulsioni liberiste partecipate statali, con i finanziamenti pubblici a farla da padrone.

 

Bitonto. Girolamo e Rosaria Devanna i nostri veri mecenati, misurando la loro e nostra caducità, decidono nel 2004 di donare parte della loro collezione allo Stato affidandola alla memoria collettiva . Una

collezione importante, più di 200 quadri e di 100 disegni, che va dal Cinquecento al secolo scorso.

 

Bitonto ha un Sindaco illuminato che coglie l'occasione ed avvia un piano di risanamento del centro storico della città, architettonicamente eccelso quanto degradato, incentrandolo sul recupero del Palazzo Sylos

Calò, che accompagna il viandante dopo l'ingresso della Porta Baresana fino alla magnifica Cattedrale gotica. Con i finanziamenti europei ed il concorso della Regione e del Mibac si avvia il restauro del Palazzo,

prevista sede espositiva della collezione. Il Palazzo viene donato dal Comune al Demanio dello Stato, e il Mibac organizza e istituisce a Bitonto la Galleria Nazionale della Puglia, la affida ad un nucleo di

lavoratori entusiasti e nel 2009 la Galleria viene inaugurata e aperta al pubblico.

Ma dove sta, direte voi, il paradosso?

Allora, la Galleria ha un flusso di visitatori in costante aumento, una media di 9000 annui, e con il dato 2012 è già a 9500 a settembre scorso. Serve questa quantità di flusso a coprire i costi di gestione?

Manco per nulla, si paga si e no uno stipendio e mezzo, e d'altronde per coprire le spese si dovrebbe dimezzare il personale e aumentare in termini esponenziali il biglietto di ingresso. Il ciclo dei beni

culturali avrà sempre bisogno degli umani, nessuna macchina può sostituire un restauratore di marmi lapidei, un archeologo, un sistema di sorveglianza e di custodia. Quindi l'ente gestore, in questo caso il

Mibac, è costretto ad una gestione in perdita costante. Investimento sbagliato, direbbe qualche liberal fondamentalista in fissa col fatto che un sito debba rendere profitto al suo gestore.

Sono i soldati del profitto, i cultori della ragione strumentale, a sbagliare, come solitamente fanno, le loro impostazioni e le loro previsioni.

9000 persone all'anno in più visitano Bitonto, che io prima conoscevo per l'olio di oliva e per una certa fama di degrado sociale, e la Galleria è diventata cuore pulsante di un centro storico rinato e

bellissimo agli occhi del visitatore.

Che cosa questo possa significare per un piccolo borgo in termini di sviluppo economico, coesione sociale, cultura della legalità, recupero della memoria collettiva è del tutto evidente.

E questo è il paradosso: ma di cosa discutiamo se la gestione in sé del

bene culturale è un esercizio imprendiscibilmente antieconomico? Risposta: di come sperperiamo le nostre risorse attraverso il finanziamento pubblico, o quelle delle banche, che poi sono la stessa

cosa. Inventandoci strumenti privati, come le Fondazioni. Perché l'obbligo della tutela e della conservazione dei nostri beni, felicemente sancito dalla Magna Carta nostra, non può essere altro da un esercizio assolutamente anti economico, e questo non è roba di privati che, a differenza dei Devanna, non siano colti da improvvisa e sincera sindrome mecenate, patologia rarissima nel nostro paese. E il paradosso di Bitonto, indica che per coniugare crescita economica e tutela del tuo patrimonio devi saper investire come collettività e sopportare costi che solo la collettività può sostenere, legando la tua attività al territorio come punto di attrazione culturale. Esercitando così, funzione di stimolo alla crescita economica e di bonifica del degrado sociale e morale, che sembra avvolgerci.

È replicabile questo modello?

Io non saprei, ma è replicabile il Grande Brera di Milano, dove investono enti pubblici e banche, o l'Egizio di Torino, dove i costi di gestione si sopportano tagliando salari e posti di lavoro?

In questa storia paradossale, alcune cose dovrebbero diventare

indirizzi: l'integrazione tra gli Enti pubblici nelle politiche di investimento delle risorse sul recupero culturale del territorio, ad esempio. Oppure il raccordo stretto delle politiche di sviluppo del territorio con il recupero delle sue identità. Oppure il modo con cui si può creare lavoro, attrarre investimenti, turismo.

E qui mi fermo.

Solo un'ultima: io, da vecchio sentimentalone, ho letto la felicità negli occhi di quei lavoratori della Galleria Nazionale e mi sono entusiasmato.

Capirete, non è facile di questi tempi.

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