Eccomiqua

Non amo le manifestazioni e i cortei.
Si certo, da ragazzo ne ho fatti tanti, ed è forse proprio per questo
che ora mi lasciano in bocca l'amaro sapore della frustrazione e della
disillusione. Ho sempre più la sensazione che si scenda in piazza perchè
non è rimasto altro da fare. Non tanto perché si spera di ottenere
qualcosa ma per un'urgenza personale, per non sentirsi soli
nell'affrontare un senso di impotenza nei confronti di un potere sempre
più arrogante e scorretto, nei confronti di una società che si muove a
grandi falcate nella direzione opposta a quella che auspichiamo, sempre
più ingiusta, sempre meno solidale, nella quale le diseguaglianze
anziché ridursi si esasperano.
Eppure quel 23 marzo io c'ero.
Perché allora come oggi ritengo che la difesa dell'articolo 18 sia una
delle cose più importanti per cui lottare.
Dovessimo perdere questa battaglia, probabilmente avremo perso anche la
guerra.
Ricordo che in quei giorni stavo vivendo personalmente uno dei momenti
più felici della mia vita, che di li a poco si sarebbe trasformato nel
più infelice.
Ma vedere quei tremilioni in piazza, tre, quattro generazioni unite da
un ideale forte e imprescindibile, la difesa dei diritti dei lavoratori,
mi ha lasciato sperare che la mia felicità potesse estendersi dalla
dimensione privata a quella pubblica, che quello potesse essere il primo
passo verso una stagione di cambiamenti e di trasformazioni positive.
Ricordo che è stata l'unica manifestazione a cui ho partecipato con
tutta la famiglia, genitori, fratelli, zii, fidanzate... i figli ancora
non c'erano.
Ora ci risiamo. E stavolta sembra ancora più dura. Sembra impossibile
che quei tremilioni possano nuovamente tornare uniti, il sindacato è
diviso, la sinistra è divisa e hanno fatto di tutto per mettere contro
le generazioni che quel giorno manifestarono insieme.
Ma io, anche stavolta, ci sono.