Beni culturali fuori dal mondo dei coniglietti rosa. Una storia - raccolta da Nonpercaso -

Hai una buona dose di cultura. Studi “alti”, come si diceva un tempo. Sei ancora giovane.

E soprattutto occupi un posto di lavoro a tempo indeterminato. Conquistato dopo anni di precariato. Hai tutto per essere davvero soddisfatto, eppure non lo sei.

Ecco la prima anomalia della tua vita ultradecennale da dipendente statale.


Qualcuno potrebbe dire che sei un ingrato, e avrebbe ragione.

Non sei pagato per pensare, nella modesta qualifica che ricopri, eppure ti ostini a farlo nonostante tu sappia perfettamente quanto sia controproducente per te, per il lavoro e i superiori.

Sei l’erede della generazione in cui i genitori hanno fatto sacrifici e investito negli studi dei figli per dare loro dei sogni e l’opportunità di un futuro migliore. Hai cominciato a lavorare nei musei grazie a un concorso pubblico, quando la preselezione avveniva ancora sulla base del voto di maturità. E le domande dei quiz erano di storia dell’arte e di cultura generale.

Studiavi e lavoravi, non ti lamentavi né ti pesava. Eri entusiasta, e non facevi troppe domande.

Guardavi quel popolo di vecchi colleghi che occupavano il tempo appoggiati a una sedia, a un termosifone, quasi totalmente disinteressati della bellezza artistica che li circondava nelle sale, con l’impressione che quel tempo per loro non passasse mai, e che usassero ogni mezzo per ammazzarlo.

Fin da allora passavi le ore a guardare i quadri e le sculture, a memorizzare ogni singolo dettaglio.

E non capivi perché ti rimproverassero se volevi fare qualcosa di buono che non era compreso nel mansionario, come spolverare le sculture o portare l’acqua negli umidificatori, tanto nessuno lo faceva e ti dispiaceva che le cose restassero così.

C’è stato un tempo in cui ti sei visto crescere, imparare a fare una visita guidata, guardare le opere nei depositi, fare ricerca d’archivio, lavorare con le scuole, studiare le collezioni d’arte e riscriverne la storia. Sembrava così naturale e ti piaceva tanto da sopportare qualche piccola rogna, come fare tutti i festivi dentro al museo, o non avere sempre le lettere d’incarico per i tuoi lavori.

Hai cominciato a sentirti un pezzo di quel museo, un pezzo importante della sua vita, perché l’esistenza di un museo è fatta di persone che lo rendono vivo ogni giorno, con il loro lavoro e la loro passione.

Poi si è rotto qualcosa, un po’ alla volta. Con frequenza occasionale, e dolorosa meraviglia.

Quando hai firmato il contratto a tempo indeterminato, sei diventato uguale a tutti gli altri. Nel bene e nel male. Hai perso il tuo profilo professionale, sebbene sulla carta pareva che non dovesse cambiare nulla. Possedevi i titoli giusti per fare una riqualificazione, ma gli anni di servizio in tempo di precariato non si cumulano, e quindi per lo stato non avevi l’anzianità di servizio necessaria.

Ora che hai il posto fisso, non puoi più fare il passaggio d’area perché non è previsto che un assistente alla vigilanza possa progredire. E’ destinato a restare a vita un assistente alla vigilanza.

Hai imparato che sei un numero e puoi essere sostituito o spostato in qualsiasi momento, a seconda delle imposizioni di un’Amministrazione che riconosce la professionalità fino a quando può fare comodo a un interesse spesso parziale, di respiro breve.

Ti sei ritrovato in situazioni assurde, vittima di emergenze dettate unicamente da incapacità altrui di gestione delle persone e della loro professionalità. Hai scoperto che la qualità e l’esperienza valgono poco o nulla, anche se si traducevano in servizi gratuiti, cancellati con leggerezza e facilità quasi sotto silenzio. Quello che producevi può essere appaltato all’esterno, con un onere aggiuntivo che l’Amministrazione è disposta a pagare, sebbene facessi lo stesso lavoro a costo zero.

Nessuno controlla la qualità dei servizi, solo i visitatori ti chiedono, ogni tanto, perché sono cessate le visite guidate, perché gli orari di apertura sono stati ridimensionati, perché l’illuminazione è scadente. Lo chiedono a te, purtroppo.

Sei cambiato. Ti sei risvegliato con la testa rotta, fuori dal mondo dei coniglietti rosa.

Hai alzato la voce, ma nessuno ha ascoltato. Poi hai unito quella voce a quella di altri, cominciando a ragionare e a combattere sul serio, a usare strategie, a raccogliere documenti, a scrivere comunicati. Calato a picco nella tana del malcontento, del disordine sociale, delle piccole miserie che avvelenano il quotidiano. In una parola, sei diventato un soggetto sindacale attivo.

Ecco a cosa servono i tuoi studi. A smascherare chi racconta frottole, a difendere chi non è in grado di farlo da solo, a contrastare con le armi della dialettica e del pensiero le azioni sconsiderate di quelli che pretendono di decidere il meglio per te, alle tue spalle.

Cosa sei diventato? Un buon negoziatore, incredibilmente. E un controllato a vista da parte dell’Amministrazione, insieme a tanti altri che lottano ogni giorno per sopravvivere con dignità.

 

 

 

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