Lo sguardo della parrucchiera. Sindacalista? - di Metis -

Capita, ogni tanto, di fare un salto dalla parrucchiera a farsi risistemare i capelli. Un taglio veloce senza grande intrattenimento, perché mi ritrovo quella faccia da brava ragazza poco incline al gossip, pertanto il chiacchiericcio scorre lungo solidi binari di rassicurante educazione.

L’ultima volta, però, abbiamo parlato di lavoro e ho detto che faccio attività sindacale. Non l’avessi mai fatto…In un istante ho realizzato, dal suo sguardo, di avere commesso


l’errore irreparabile, gettando al vento anni di onorata reputazione. Sarebbe stato meglio se avessi raccontato che passeggiavo a ore improbabili lungo gli argini del Canale Scaricatore (si chiama proprio così). Avrei forse conquistato qualche punticino in più, ne sono certa. La cosa paradossale è che l’ha saputo mia madre e mi ha rimproverato, perché davvero non capiva come mi fosse passato per la testa di rivelare “certe cose” alla nostra parrucchiera…

Un episodio marginale ma significativo della realtà frammentata che ci circonda. E di una percezione pericolosamente falsata che condiziona le persone, catturate nella bolla di sapone del bombardamento mediatico, che marcia sulle meschinità di coloro che dovrebbero lavorare al nostro servizio, facendone una massa informe su cui sparare a zero. Gli ultimi moralizzatori sono loro, i piccoli automi di plastica del Movimento 5 stelle, e fanno perfino rimpiangere le pin-up danzanti radiocomandate dal guru Boncompagni in quel vecchio programma televisivo Non è la Rai.

E allora possiamo forse spendere qualche parola in più sul “mestiere” del sindacalista, perché spesso non ti accorgi quanto sia importante fino a quando non resti incastrato in una situazione incasinata. Stai male e hai paura. Succede per caso, improvvisamente. Di questi tempi sempre più spesso. Può perfino capitare che ci diventi, un sindacalista, senza averlo desiderato fino a quel momento. E questo invece dovrebbe succedere molte volte di più, perché il nostro paese ha davvero bisogno di uomini e donne svegli e capaci di diventare in primo luogo i sindacalisti di sé stessi.

Chi sono veramente, i sindacalisti? Cominciamo a dire forte e chiaro che sono lavoratori come tutti. Hanno orari che non si timbrano col cartellino, quintali di mail da scaricare, il cellulare che suona in continuazione, e non possono permettersi di dire che prendono la pausa caffè, perché quando qualcuno ha davvero bisogno ci sono sempre.

Molti fanno due lavori insieme, quello per portare a casa lo stipendio e quello sindacale, spesso rubando tempo prezioso alla propria vita privata. Sono persone normali, semplici, con grande passione e competenza, allenati all’ascolto di quello che si vede e non si vede, alle parole non dette, al disagio strisciante, che spesso resta rinchiuso nello spazio dei pensieri. Hanno pure stress e incazzature esattamente come noi, ma siccome non possono lamentarsi, li vedi fumare sigarette in continuazione.

Certo, qualcuno potrebbe sembrare un po’ anomalo. Ne ho conosciuto uno che all’inizio mi rimproverava di essere una intellettuale borghese. Un pessimo complimento, le due cose insieme suonavano davvero terrificanti. Con la colpa di avere troppi titoli di studio. Intellettuale borghese universitaria. E ho faticato molto, perché questo sindacalista continuava a usare una lingua che non conoscevo e non mi apparteneva, e non sto certo parlando di terminologia tecnica. Parlava di una filosofia di vita, e pretendeva di “condurmi” al suo livello di pensiero, raccontandomi di un mondo e di una scelta che esigevano rispetto, attenzione e consapevolezza. Spingendomi a essere seria e concentrata. Ci sono arrivata un po’ di tempo dopo, e in quel tempo non si è mai stancato di spiegarmi e ripetermi le cose con pazienza, con dedizione, con trasporto. Ancora adesso mi interrogo su quale sia il limite del “punto di rottura”. Ricordo tutte le mazzate che mi sono presa quando ero pigra e distratta, quando piagnucolavo, quando mi appoggiavo alle mie debolezze, e quando non avevo disciplina. Non capivo che era un metodo di allenamento, e prendevo tutto sul piano personale. Un limite enorme, soprattutto per chi fa questo “mestiere”. Perché il coinvolgimento non esiste, non puoi permettertelo, altrimenti non resti lucido e non puoi aiutare gli altri. Ricordo la prima contrattazione, mi sembrava una riunione condominiale nel senso peggiore del termine. Poi mi sono abituata a sentire oltre il rumore di fondo, a cercare il tempo e il varco giusto per il pensiero che diventa parola, e deve suonare limpida, sonora, senza sbandamenti, convincente. S’impara ad accelerare e modulare, a costruire e sviscerare un ragionamento ad alta voce. Un po’ alla volta, con l’esercizio costante dell’esperienza e dell’osservazione di ogni singolo dettaglio, perché puoi essere stato un ottimo scolaro o un buon insegnante, e avere anche studiato parecchio, ma non basta. Qui non devi dimostrare di essere bravo. Non fornisci prestazioni.

Questo lavoro si misura con la fiducia degli altri: fino a quando non l’hai conquistata completamente non vai da nessuna parte, e la tua azione non sarà efficace. I tempi non li imponi tu, né devi subirli dall’esterno. Si costruiscono con pazienza e collaborazione, se stabilisci con i lavoratori “una sana associazione a risolvere insieme”. Il lavoro del sindacalista comincia e finisce con quello del lavoratore, ne è la fonte e pertanto ne ha bisogno come l’aria che respira. Fare attività sindacale ti porta a sviluppare un senso di appartenenza che dà significato al tuo “vivere il lavoro” nel quotidiano. Non c’è altro modo per dirlo. Quindi impariamo a dirlo più spesso.

 

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Commenti: 6
  • #1

    erreerre (lunedì, 01 aprile 2013 21:00)

    Bella descrizione dell'essere sindacalista. Qualcosa di cui ogni tanto devi giustificarti con frasi tipo: sono sindacalista MA io lavoro. O quando devi spiegare che non è vero che tutti i mali del mondo dipendono dal sindacato che è fatto per lo più di persone come te.

  • #2

    maurizio (martedì, 02 aprile 2013 00:55)

    come si fa a spiegarlo in questi tempi di antipolitica?...poi però si meravigliano che non si riesce a fare un governo!...magari la prossima volta ci rimettiamo berlusconi...lo conosciamo e li da 20 anni!...

  • #3

    Eulalio (martedì, 02 aprile 2013 08:30)

    Dal tuo scritto, credo sincero, si evince che l'essere sindacalista non ti conferisce nemmeno un grammo in più di conoscenza della vita, del mondo, della società. Andare dal parrucchiere non è peccato ma certo ti pone nella metà del mondo che se lo può permettere.
    Dici di essere sindacalista in presenza di sconosciuti che finalmente se ne trovano di fronte una e ben condizionata da bigodini, casco, asciugamani, manicure etc etc, nientemeno che una di quelle persone che "guidano" le sorti di intere famiglie (scusa la generalizzazione per motivi di sintesi).
    Spero per te che tu abbia dichiarato un impegno in ambito privato (che so, in fabbrica) altrimenti ti sarà arrivata un'ulteriore dose di invettive: l'impiego statale è fonte di grandi contestazioni dall'interno e dall'esterno.
    Essere sindacalista, con buona abbondanza e con un pizzico di astrazione, è un pò come essere parlamentare del M5S, così come questo è dipinto, con scandaloso spreco di energie, da coorti di commentatori scribacchiandoli dispersi nella rete: si legge negli occhi un certo disagio del non poter svelare chissà quali oscuri segreti e la voce è rotta dalla mortificazione del non poter dire.
    Un'azienda mette in conto di poter spendere una quota di mercato od un capitale di credibilità, magari appena prima di svendere o chiudere definitivamente.
    A volte mi chiedo in quale momento specifico di questa fase esso si trovi... E garantisco di non essere il solo!

  • #4

    Claudio (martedì, 02 aprile 2013 11:42)

    È un messaggio pieno di freschezza e ricco di capacità di conoscenza. Mantienile intatte, che il sindacato ha bisogno di te. Certo, per fare sindacato devi avere lavoro, e questo ti consente di rimanere appigliata alla metà del mondo di quelli che qualcosa possono permettersi. Ecco, noi adesso dobbiamo confrontarci con l'idea del lavoro che non dà sicurezze e un lavoro sicuro che diventa privilegio. E questo propone una rottura profondamente generazionale tra garantiti e non. E il sindacalismo deve rimanere frontiera, territorio da esplorare, se vuole mantenere la speranza dei diritti. E per il sindacato far ritrovare la dignità del lavoro è il punto, la vera condizione strategica, il nodo su cui misurerà la propria capacità di rappresentanza. E la tua visione alimenta le nostre speranze.

  • #5

    OminoViaggiante (giovedì, 04 aprile 2013 14:51)

    Continua a essere fiera del tuo essere sindacalista. Magari compreso il significato del "punto di rottura" diventerai un po' anomala anche tu. ;-)

  • #6

    DoReMi (domenica, 07 aprile 2013 18:39)

    Non è che ti sei presa una cotta per il tuo sindacalista anomalo? ahahaha