I suicidi, la crisi, la politica. Di nuovo?

Stai sul tamburo si diceva una volta per significare la necessità e anche l'attitudine di essere aggiornato, di dare, al momento giusto, il fatto, il commento. In ogni singolo momento ti domandi qual'è la cosa importante e spazi, qui, nel nostro tempo e limitatamente al nostro paese, fra cose nella politica e della vita sociale. Alla fine ti accorgi che di nuovo non c'è niente.

Dov'è la tragedia di Civitanova Marche? Tre suicidi che tutti imputano alla crisi economica buoni per la commozione che dura lo spazio di una notizia, buoni


per un diluvio di post su facebook indignati, straziati, strazianti, paraculi, ruffiani e poi giù andare, con l'altra emergenza: che farà Grillo?

Io penso che la situazione economica sia una concausa, non la causa diretta di un gesto che secondo me è troppo complesso per essere ridotto ai problemi economici. Lo so, non ci si presta per questa via alla critica immediata e di grana grossa a tutte le istituzioni che ci governano e ci hanno governato. Non dirò che i tre suicidi sono in realtà omicidi di stato, questa non è la mia via, non dirò cose per avere un mi piace in più. Voglio andare un po' più a fondo alla questione, non ad una battuta facile sugli stipendi dei parlamentari.

La crisi economica non è soltanto la riduzione della base produttiva con la conseguente riduzione della quota di ricchezza per i lavoratori, non è soltanto l'impoverimento sociale e l'aumento delle diseguaglianze, questi sono i fenomeni misurabili statisticamente. Aumentano le fabbriche che chiudono, aumentano i licenziamenti, aumenta la cassa integrazione, addirittura si profila il licenziamento per i dipendenti pubblici a tempo indeterminato. Per i precari ci si arrabbatta fra una proroga e l'altra, fra una proroga e l'altra, molti spariscono dai radar. Diminuisce il valore d'acquisto degli stipendi, dei salari e delle pensioni, sia il segno più che il segno meno nelle statistiche per chi vive del proprio lavoro, significano la stessa cosa:si sta peggio.

Se ci fosse un nesso causale fra crisi economica e suicidi, per quanto si possa mettere il silenziatore a questi gesti, ne avremmo comunque un numero infinitamente maggiore di quello che registriamo, la situazione è grave, intendiamoci ma non possiamo fermarci qui. Io penso che dovremmo guardare l'estensione e la profondità della crisi nella società, della società. La crisi economica è, crisi di prospettiva: per la prima volta nella storia umana le generazioni che vengono dopo staranno peggio delle generazioni che le hanno precedute. Verranno giorni peggiori, questa la consapevolezza che si fa strada nella società e quindi nei soggetti più deboli, quelli che hanno lavorato tutta la vita e ora la loro pensione è niente;quelli che hanno lavorato, sono ancora in età attiva ma non trovano più niente da fare;quelli che potevano dire di se: “ mi chiamo tal dei tali, lavoro li”, certo fatico, però ho un reddito certo e sopratutto la mia identità è certa, riconoscibile e riconosciuta. Ora prendo il sussidio, non sono niente. Quando perdi il lavoro, quando sei in pensione ma non riesci ad andare avanti, pensi, anche se non vuoi, anche se sai che è sbagliato che la colpa magari è un po' la tua.Pensi che i tuoi figli staranno peggio di te e che da qualche parte hai sbagliato. La crisi è un tarlo che ti scava dentro anche se non sei tecnicamente nelle condizioni peggiori. La crisi ti fa vedere il mondo in nero e allora può capitare che ci metti dentro un po' tutto e decidi di farla finita.Sei uno, intorno a te niente. Per questo introduco, nella crisi il ruolo delle strutture organizzate della società. Le istituzioni possono peggiorare la tua situazione o migliorarla. Se le istituzioni non sono la casa di tutti, ma un fortino inespugnabile, diventano un fattore peggiorativo della tua condizione. Le istituzioni dovrebbero essere la casa di tutti, quante volte l'abbiamo sentita questa frase, ma non lo sono. I servizi sociali, per fare un esempio, non sono organizzati per dare un mano, sono organizzati per riempire moduli, non riescono neanche a parlare fra loro quelli del comune e quelli della ASL. Certo ci sono i lavoratori che tante volte ci mettono la buona volontà e anche di più, ma non discutiamo di questo. Anche il lavoratore di Equitalia è una persona e spesso, per bene. La crisi mina le istituzioni, vedi ai funerali la nuova Presidente della Camera e le sputi addosso poteva essere Madre Teresa di Calcutta, sarebbe successo lo stesso. La crisi annebbia il giudizio. Però voglio dire di più, le istituzioni vengono dopo il tessuto sociale e democratico. Se non conosci il tuo vicino di pianerottolo è difficile chiedere e dare una mano, se non c'è nei dintorni una sezione di partito, se il sindacato al quale sei iscritto è buono solo a chiederti la quota tessera e non come stai, per le istituzioni è difficile intervenire. La crisi ci rende tifosi di una forza politica e non cittadini, consumatori e non cittadini, la crisi ci rende soli, quindi vulnerabili. Uscire dalla crisi non richiede soltanto una politica economica, ci vuole il cambiamento e la speranza. Chi vuole capire, chi può capire, capisca. Oppure continueremo ad andare a fondo.

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