Il mondo virtuale e la riconquista del nostro noi. - di Metis -

Nel vocabolario della lingua italiana sono entrate di prepotenza parole di nuova generazione, farcite di tecnicismi lontani anni luce dal “sapere” del cittadino italiano medio. Un mezzo spregevole per farci sentire stranieri nel nostro paese. Un modo oscuro per privarci delle nostre radici e del nostro vissuto. Un’operazione


consapevole e voluta. Pericolosa e distruttiva.

Con il colpevole concorso della televisione, che ha deposto l’antica e confortante funzione educativa nei programmi per grandi e piccini del dopoguerra, quando perfino la pubblicità era piacevole e rassicurante, per trasformarsi in un contenitore vuoto di senso e popolato per lo più da urlatori, fantocci, venditori, contrabbandieri, servi e “soldati di ventura”.

Si salva ancora qualche vecchia colonna della politica, della cultura e del giornalismo del Bel Paese, nell’imperante filosofia del “nuovismo” che avanza, e cancella tutto quanto è considerato “vecchio” nel senso deleterio del suo significato, perché improvvisamente puzza di stantio e deve essere sostituito. Anzi, questa volta con un volgarissimo termine italiano, “rottamato”. In nome di cosa? Non lo sappiamo. E nessuno se lo chiede più.

Negli ultimi anni ci hanno sottratto spazi vitali di territorio, di piazze, di cinema, di negozi, inquinando il tessuto urbano e il paesaggio con centri commerciali che contengono tutto quello di cui ci fanno credere di avere bisogno. E non abbiamo protestato.

Ora siamo nel pieno sviluppo del mondo virtuale, che assorbe, intorpidisce e condiziona le menti in nome di una presunta democrazia e accessibilità universale, quando invece esclude intere fette di popolazione, basta pensare a chi ha una scolarizzazione di vecchia generazione, a chi è anziano e non ha potuto “aggiornarsi”, a chi vive in realtà marginali, degradate, o nell’isolamento dei piccoli centri, che fino a ieri erano considerati le eccellenze del nostro paese, per la qualità della vita e del vivere civile. Per quanto ancora resisteranno? L’esempio dolorosamente vicino è quello di frazioni e comuni dell’Emilia - Romagna, annientati dal terremoto, o di una città ricca di storia come L’Aquila, annientata due volte, prima dal terremoto e poi da chi ha lucrato sulle disgrazie dei cittadini.

Muoviamoci, prima che sia troppo tardi. Serve una rivoluzione delle coscienze. Dobbiamo riappropriarci della nostra rappresentatività. E di quel senso di comunità che restituisca valore alla cittadinanza. Ai piccoli gesti quotidiani di condivisione. Alle passeggiate nei pomeriggi domenicali. Alle letture di romanzi, saggi e poesia. Ad un impegno consapevole di tutela e difesa della nostra cultura. L’assunzione di responsabilità deve partire da noi, perché siamo “vittime” di uno stranoto vizio tutto italiano, quello di accusare gli altri quando qualcosa non va, e di delegare al primo imbonitore che offre ricette prelibate o promette di picchiare duro per risolvere le questioni. Non possiamo continuare sempre a piangere, a lamentarci o a desiderare le cose altrui senza fatica e sacrificio, perché la politica è espressione della società civile. Una società civile sana produce una politica virtuosa.

Serve una nostra presenza fattiva sul territorio, e soprattutto bisogna rinsaldare i legami generazionali per incentivare azioni concrete sui temi del lavoro, della giustizia, della formazione scolastica, dell’assistenza agli anziani e ai più deboli.

Bisogna investire nei rapporti relazionali e lavorare insieme su obiettivi comuni. L’unica speranza concreta di crescita che resta a nostra disposizione.

 

 

 

 

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Commenti: 1
  • #1

    Palmira Godwin (mercoledì, 01 febbraio 2017 23:23)


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