Il posto dove sono nato è il mio posto. Non importa chi mi ha generato, il loro ceto, la loro etnia, il motivo per il quale si sono trovati lì. Sono nato in un buco di culo di paesino del sud e quel paesino è tutto quello che rappresenta il mio immaginario ancestrale, la mia sub cultura, fatta di linguaggi, gesti, appartenenze. Tutto quello che ha contribuito a rendermi quello che sono proviene da quel buco di culo di paese. Ed ogni volta che ci ritorno o che incontro i miei familiari, o altri che vengono da quella
terra, quasi mi sembra di non essere mai andato via.
Una identità radicata, mai rivendicata, anche combattuta. Ma che è dentro di me. Quella terra è la mia terra ed in quella terra ritorneranno i miei resti, una volta esaurito il mio ciclo vitale.
Mi chiedo come mi sentirei se qualcuno mettesse in dubbio questo solo perché chi mi ha generato fosse stato uno straniero, magari non comunitario, addirittura nero. Uno dei tanti venuti a cercare fortuna ed a scoprire le nostre miserie miserabili, fatte di sfruttamento e razzismo.
Eccolo il vergognoso balletto: una ministra nera su cui si stanno sperimentando quelli che il mio professore di etnologia definiva i gradi di etnocentrismo. Una ministra “di colore”, come se il bianco non fosse un colore, per i cosiddetti progressisti. Il bongo bongo per i razzisti dichiarati, quelli supremi, i deficienti superiori. Una gradazione etnocentrica che assimila tutti, ma proprio tutti, nel gorgo delle stupidità epidermiche.
Mi chiedo dove collocare in questa gradazione il ragionamento dei nuovi rivoluzionari, quelli del referendum. Anzi mi chiedo se davvero pensano di risolvere il problema dell’appartenenza per nascita tramite un referendum. Come se si trattasse di scegliere il candidato presidente, o decidere se chiudere il centro storico alle auto, o se magari dimezzarsi la diaria, per far vedere quanto sono fighi nel bigoncio. Fighi guasti e bigoncio puzzolente: non vi salverete rinunciando alla diaria.
Io penso che questa vicenda dimostra da sola la nostra profonda arretratezza civile, il nostro decadimento, il declino di una società che ha conosciuto tempi migliori, e che nei tempi peggiori ha dovuto sopportare tutte le nefandezze che avvolgono i migranti, per poi rimuoverle.
Una società in disfacimento, vecchia. Che nemmeno riesce a cogliere la novità di visi e culture diverse, che li tratta come fossero una minaccia, o tuttalpiù copre di condiscendenza paternalistica il fastidio di trovarseli in casa.
Da giovane studente di emigrazione italiana andai a lavorare sei mesi in una fabbrica tedesca per fare una tesi di ricerca sul campo sulla condizione dei nostri migranti, i gastarbeiter. Mi veniva facile l’indignazione contro i tedeschi, sull’onda delle ferite del nazismo e dei normali episodi di intolleranza che reca in sé ogni fenomeno migratorio. Su una legislazione punitiva e pesante.
Oggi, adulto quasi anziano, constato con tristezza che quella condizione era niente in confronto alle nefandezze nostre verso i migranti: la bossi-fini e i centri di detenzione. E la vergogna della negazione dei diritti ai bambini di avere una terra.
Facciamolo un referendum sulle nostre vergogne di italiani brava gente.
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