Finanziare le scuole private? A Bologna un referendum. - di Kaisentlaia - 1 parte

  A Bologna un orizzonte di significato comune unisce le vicende del referendum consultivo del 26 maggio sul finanziamento comunale alle scuole private ed il "progetto strategico" (annunciato il 10 aprile dalla giunta Merola) di trasferire dal comune alla nascente ASP unificata la gestione dell'intera filiera dei servizi alla persona (tra cui asili nido e scuole dell'infanzia), partendo proprio, a


settembre, dalle 70 scuole dell'infanzia comunale attualmente presenti sul territorio.  

  Un orizzonte di significato politico in dirompente mutamento per una città come Bologna, nella quale la gestione diretta dei servizi da parte del comune e l'orgoglioso senso di appartenenza dei dipendenti all'istituzione comunale - La 'Cmona, come diciamo in dialetto, declinandone il nome non casualmente al femminile, entro un'area semantica materna - non erano mai stati esplicitamente messi in discussione da nessuna giunta, nemmeno da quella "del macellaio" (il sindaco Giorgio Guazzaloca) o del commissario prefettizio Annamaria Cancellieri.  

  A Bologna oggi siamo ad un bivio.  

  A Bologna, oggi, è in discussione il significato stesso del concetto di "pubblico".  

  Pubblico che fino a ieri significava per tutti "gestione diretta" e che oggi alcuni cercano di reinterpretare secondo la più trendy accezione di "governance".  

  Governance. "Regia" di un sistema di produzione di servizi, erogati da soggetti altri rispetto al comune, nei cui confronti quest'ultimo manterrebbe solo il ruolo di committente, programmatore, controllore.  

  Questa la lacerazione profonda che scuote il tessuto sociale di Bologna, che potrebbe delineare nuove ed inconsuete alleanze politiche e che, ad ogni maniera, sarà destinata a misurare la distanza o la vicinanza della classe politica dirigente attuale dalla base dei cittadini che si propone di rappresentare  

 

  Ma cerchiamo di fare luce sulle due vicende, tenendole ancora, per un poco, separate.  

  A Bologna la scuola comunale, per quanto legislativamente definita privata paritaria (lo stato riconosce come pubblica solo la scuola statale), è considerata LA scuola pubblica per eccellenza. Con tanto di articolo davanti e "P" maiuscola. Essa è per noi "più pubblica del pubblico", poichè nasce negli anni '60 per forte volontà ed intuizione politica di una giunta che - anticipando di molto l'interpretazione più autentica del decentramento amministrativo e della sussidiarietà, secondo la chiave di lettura della "prossimità" e del welfare comunitario - comprese che l'istituzione comunale, più vicina dello stato ai bisogni del territorio e dei suoi cittadini, era capace di organizzare una scuola migliore di quella gestita dallo stato. E decise di farsela "in casa", mettendo a frutto la competenza dei suoi amministratori, dei tecnici (i pedagogisti) e degli insegnanti di Bologna.  

  Erano gli anni del grande sindaco Giuseppe Dozza e della clamorosa "svolta contabile", quando, nel 1962, egli ebbe la lucidità di comprendere che, se il Comunevoleva compiere un salto di qualità e rispondere ai bisogni inediti dei suoi cittadini, occorrevano finanziamenti straordinari, che si potevano reperire solo sfondando il muro del precedentemente imposto "bilancio in pareggio" (vi ricorda qualcosa di più attuale? La storia, com'è noto, si ripete).  

  L'assessore al bilancio del comune si dimise. La politica di austerità del dopoguerra cedette il passo al keynesiano "deficit spending". Si allargò la massa degli investimenti comunali e si generò, da un lato, una ricaduta positiva sull'economia cittadina e si creò, dall'altro, con la moltiplicazione dei servizi, un deciso miglioramento della qualità della vita.  

  Moderni studi di economisti (Ekman) ci mostrano, oggi, come il tasso di scolarizzazione e la qualità dell'istruzione siano in correlazione diretta a positiva col PIL delle nazioni.  

  Cinquant'anni fa, a Bologna, lo si era già compreso. Infatti, tra i servizi di cui ho appena parlato, annoveriamo le prime scuole dell'infanzia comunali, che adesso rappresentano il 60% dell'offerta cittadina. Restano celebri i nomi delle persone che aiutarono Dozza nel concepire e realizzare questa grande opera che il mondo ci invidia: l'allora assessore all'istruzione Adriana Lodi (poi "mamma" della legge 1044/1971, legge nazionale sugli asili nido) ed il pedagogista bolognese Bruno Ciari.  

  Fino al 1994 la scuola dell'infanzia comunale fu l'unica economicamente sostenuta dal comune. Poi la giunta Vitali decise di aprire le porte del convenzionamento con (e del finanziamento alle) scuole private paritarie: esse rappresentano attualmente il 20% dell'offerta cittadina e sono inserite in un sistema misto di offerta pubblico/privata, regolato da criteri "di qualità" che queste ultime sono tenute a soddisfare per ottenere il convenzionamento.  

  Con onestà intellettuale, dobbiamo affermare che le scuole dell'infanzia private non sono qualitativamente scadenti come offerta educativa - anche perché devono adeguarsi e reggere la "concorrenza di mercato" dell'offerta pubblica gratuita - ma forse vale la pena sottolineare, sempre per onestà di ragionamento, che sono a pagamento, per lo più sono di matrice confessionale ed applicano ai lavoratori contratti e trattamenti peggiori rispetto alle scuole pubbliche.  

   
 
  

 

Scrivi commento

Commenti: 0