Finanziare le scuole private? A Bologna un referendum. - di Kaisentlaia - 2 parte

Oggi il quesito del referendum che si rivolge ai cittadini di Bologna è il seguente:  

"  Quale, fra le seguenti proposte di utilizzo delle risorse finanziarie comunali ritieni più idonea per assicurare il diritto all'istruzione delle bambine e dei bambini che domandano di accedere alla scuola dell'infanzia ? 

  a) utilizzarle per le scuole comunali e statali  

 


 b) utilizzarle per le scuole paritarie private.  

  Alla luce delle riflessioni sin qui svolte e del momento di crisi economica che l'intera nazione sta attraversando, mi sento di considerare che la scelta tra l'opzione A e l'opzione B che noi bolognesi esprimeremo il 26 di maggio assume un significato che và oltre la mera scelta se "aiutare o meno" il privato paritario ad offrire posti-scuola ai bambini ed alle bambine della nostra città.  

  Questo voto ci chiama a dichiarare se desideriamo ancora mantenere in vita il "modello bolognese" dei servizi a gestione diretta o se riteniamo preferibile, più semplice o persino più giusto delegare ad un soggetto diverso dal comune l'erogazione del servizio scolastico, che ha il compito di garantire il diritto costituzionale all'istruzione degli scolari più piccoli.  

  L'orizzonte di significato più ampio a cui facevo riferimento in apertura di questo pezzo è esattamente questo: è di natura strategica, politica, persino morale.  

  E quest'orizzonte si delinea con forte evidenza se analizziamo la seconda questione che citavo in apertura d'articolo: il prospettato trasferimento in blocco dei servizi socio assistenziali educativi e scolastici sotto la ASP, a partire proprio dalle scuole dell'infanzia comunali, nel settembre prossimo venturo.  

  La ASP è un'Azienda di Servizi alla Persona. Il suo "carattere pubblico" è definito dalla legge regionale che la istituisce e dovrebbe essere rafforzato da una seconda legge regionale, attualmente in iter di approvazione.  

  In pratica la ASP verrebbe a configurarsi come un ente pubblico non economico, in grado di applicare il contratto collettivo autonomie locali. Un "ente strumentale" del Comune di Bologna, suo "braccio operativo" per la gestione dei servizi prima erogati in maniera diretta.  

  Il suo punto di forza, ci dicono, è quello di cadere fuori del patto di stabilità interno e dai vincoli legati alle possibilità assunzionali a cui sono soggetti gli enti locali.  

  Così era nata, l'anno scorso, l'idea del suo utilizzo legato ai servizi educativi e scolastici: usarla per dare lavoro a tutto quel personale con contratto autonomie locali a tempo determinato che il comune non era più in grado di assumere in maniera diretta a causa dei vincoli normativi imposti dal governo.  

  Un utilizzo "emergenziale" e dettato da necessità, finalizzato a tamponare il vulnus di un precariato reso endemico da decenni di insufficienti politiche occupazionali.  

  Non certo una "scelta strategica" sulla quale investire per ridisegnare il modello di Welfare (e di scuola) a Bologna.  

  Il punto di caduta della ASP si gioca, infatti, proprio sulla sua identità, che, semplicemente, non è la stessa del comune. Si gioca sul fatto che la ASP non è un'ente locale, ma, per quanto "giuridicamente" pubblica, essa resta un'azienda. La cui finalità principale - da legge regionale - è il contenimento della spesa e la razionalizzazione delle risorse.  

  Un'azienda, inoltre, di servizi alla persona. E la scuola dell'infanzia non è un servizio alla persona, ma è, per legge, il primo segmento del ciclo di istruzione,.  

  E' una scelta, per certi versi impropria (vedi scuole dell'infanzia), che inverte la rotta virtuosa imboccata da Dozza negli anni '60 e che tanto I lavoratori quanto I cittadini utenti faticano a riconoscere come propria.  

  Fiumi di inchiostro potrebbero essere ancora spesi con dissertazioni rispetto a cosa tutto questo rappresenti politicamente in termini di alleanze e disalleanze, sull'interpretazione dei concetti di sussidiarietà e decentramento, oppure chiedendoci se questo sia o meno il primo passo verso la privatizzazione vera, lo scadimento della qualità del lavoro e, quindi, del servizio erogato alla cittadinanza - non si dimentichi che il lavoro educativo è un lavoro di relazione, difficilmente valutabile appieno attraverso strumenti di misurazione quantitativa o check-list elencanti presuni requisiti di qualità da possedere.  

  Altrettanto potrebbe essere detto riportando la querelle in atto tra chi, come me, pensa che solo la gestione pubblica diretta sia garanzia del diritto (mentre ogni privato punta, per sua natura, al profitto) e chi sostiene, di contro, che, in un mutato contesto socio-economico, la via maestra da percorrere sia quella di pervenire al ridisegno di "enti locali leggeri" a cui attribuire a governance di un sistema in cui beni e servizi sono prodotti da altri. Oppure, ancora, si potrebbe ragionare se questa accezione di governance, delinei il ruolo dell'ente locale come preminente o residuale.  

  Quello che posso affermare con certezza è che, anche sul territorio bolognese, abbiamo già molti esempi in cui analoghi tentativi di contenimento della spesa hanno portato, in realtà, ad un aumento dei costi e ad uno scadimento della qualità del servizio, quando non ad un vero e proprio collasso del sistema. Si guardino il trasporto pubblico locale, ad esempio, oppure le vicende legate ai servizi di igiene ambientale.  

  Si pensi che oggi è in campo un'analoga operazione compiuta sui bambini e sul loro diritto all'istruzione.  

  Oltre a questo, occorre considerare chel vincolo sulle assunzioni del comune può rappresentare un problema solo limitatamente ai 500 lavoratori precari presenti nei servizi educativo scolastici, non certo in relazione alle altre 1600/1800 persone attualmente assunte dal comune con contratti a tempo indeterminato.  

  Che ragione c'è di voler trasferire tutti?  

  La nostra speranza è che il Governo Letta allenti, come promesso, I patti di stabilità interna degli enti locali, che si sciolgano un po' di vincoli sulle assunzioni pubbliche (partiti nel 2008 con la legge Brunetta ed aggravati, anno dopo anno, dalle manovre successive), che la politica metta mano seriamente alla situazione di questo paese, attraverso misure anticicliche e non, ancora, attraverso tagli lineari che colpiscono sempre gli stessi soggetti: I più deboli.  

  Auspichiamo, infine, che sia almeno operata una distinzione tra personale degli uffici e dei servizi, così da non condannare, realmente, a morte la gestione diretta dei servizi da parte degli enti locali.  

  E nell'attesa dobbiamo resistere, non certo imboccare volontariamente una direzione che rischia, nel tempo, di aggravare ancora di più la crisi del sistema, anzichè approdare a soluzioni.  

  Ma qui mi fermo, perchè adesso ognuno di noi ha il dovere di concentrarsi e "lavorare" al meglio nel settore di sua competenza. Io sono una figura tecnica, una pedagogista, non un grande decisore. Anche se il 26 maggio qualcosa lo posso decidere.  

  Decido di andare a votare. Decido di votare A. E' adesso, la parola ai cittadini.  

 
 

 

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