La rivoluzione, si sa, viaggia veloce. Non è una raccomandata con ricevuta di
ritorno, nemmeno una cartolina da paesaggio. Intendiamoci: nulla a che vedere con la durezza di un atto rivoluzionario, che consuma rotture epocali. La rivoluzione post moderna viaggia sulla
rete, ne mutua la velocità e ne santifica democraticamente le procedure. Idee antiche si corroborano nei social, nel
messaggio di posta elettronica, organizzazioni si strutturano. Senza bisogno di sporcarsi le mani si può fornire un'opinione su tutto, partecipare democraticamente al dibattito universale, in attesa che un ruolo lo assegni la rete, basta trovare uno spazio nel villaggio globale, riconoscere le proprie identità plurali, eliminare il divario tra essere e apparire.
Così la rivoluzione si attua, senza inutili e costosi spargimenti di sangue. Ed è una rivoluzione riformista quella che ci attende. Un magnifico ossimoro che diviene la sintesi estrema per l'audacia dei moderati, il metodo di governo da velocipedi, il tutto e subito senza ostacoli.
rivoluzione@governo.it
Ci ho pensato un sacco a questa formuletta e a quello che contiene.
Sarà capitato anche a voi di vedere cassette dei suggerimenti in giro. A me capitava spesso di vederle nelle parrocchie, in luoghi di aggregazione di anime belle, persino in qualche pubblica amministrazione.
Una idea semplice, in fondo antica, da manuale delle giovani marmotte.
La cassetta dei suggerimenti combinata con la rivoluzione.
"abbiamo ricevuto tremila mail in due giorni!". Eccolo, il trionfo della partecipazione democratica diretta.
La rivoluzione, appunto. Tutti uguali, chiunque può dire la propria.
Il tema è la pubblica amministrazione. Una lettera ai tre milioni di dipendenti pubblici e una casella di posta che riceve migliaia di suggerimenti inviati dagli addetti. Una sfilza di proposte alla discussione.
Per la verità nulla di nuovo, qualche sforbiciata sulle agibilità sindacali, il resto misure già prese: si riducono drasticamente le prefetture, si immaginano manager a gestire i beni culturali. Nelle pieghe si intravede un timido segnale di svecchiamento, la meritocrazia a stendere la solita patina efficientista. Insomma una minispending, dove il lavoro sporco lo hanno fatto gli altri, buona per irretire i cittadini già ammaliati dai modi strafottenti del nuovo signore.
Su questo si avvia la maxi consultazione. A cui si pensa parteciperanno i lavoratori delle prefetture, attratti dal pesante ridimensionamento, e gli storici dell'arte, presumibilmente inebriati all'idea di affidare i musei ai manager.
Con somma generosità il nostro invita anche i sindacati a partecipare (ci mancherebbe!), in fila pazienti ad aspettare il proprio turno per imbucare la letterina.
Si dice che il giovin signore abbia seppellito la concertazione. Con grande gioia di chi, da varie sponde, intravedeva sommi pericoli dal suo utilizzo.
Anche in questo caso nulla di nuovo. Ha seppellito una mummia. La concertazione venne praticata con successo negli anni novanta e venne affossata dal berlusconismo. Risanó bilanci e consentì lo scialo dei berluscones. E il prevalere del liberismo ne decretó la fine degli effetti e il suo permanere come spauracchio ideologico.
Ma lo spauracchio è utile per la denigrazione, per additare colpevoli dei ritardi, per dimostrare che senza lacci e lacciuoli si può fare presto e meglio.
Eccola, la rivoluzione fiorentina.
Una cassetta dei suggerimenti dal ruolo messianico. Uno strumento che supera il fine. Una comunicazione diretta. Il decisionismo a chiudere.
Semplice, essenziale, e soprattutto veloce.
L'orizzonte della democrazia è cambiato, compagni. E ci trova spiazzati, ingolfati con il che fare. Afflitti da un dibattito interno spesso capzioso e schematico.
Quello che resta della sinistra radicale affida le proprie speranze ad un giovane greco ed al suo sogno internazionalista, sperando che da questo possa avvenire la catarsi delle proprie infinite divisioni. La sinistra riformista rimasta annichilita dal giovin signore che in sul colpo gli ha sfilato partito, masse e governo, e che adesso sorpassa a sinistra con la riduzione delle tasse ai lavoratori imponendo al contempo ricette liberiste sul lavoro e una riforma istituzionale tagliata sulla misura delle proprie ambizioni.
In mezzo ci siamo noi, la Cgil, a cui toccherà ancora una volta il compito sempre più difficile di difesa di quelli una volta definiti spazi reali di democrazia.
Sempre più da soli, misuriamo spesso la distanza con la politica con angoscia, e ne riflettiamo le sue divisioni.
Sbagliamo. In questi anni abbiamo mantenuto e costruito un soggetto forte, in grado di resistere alla vandea, di ampliare capacità di alleanza sociale e di rivendicare con orgoglio la nostra irriducibile diversità. Ricordiamoli i nostri anni, la nostra marcia tra le rovine del berlusconismo e la crisi economica che ci indeboliva le gambe, le riforme tese ad indebolirci.
E oggi siamo sempre qua, con i nostri scricchiolii, ma pur sempre una felice anomalia.
Noi, la Cgil diventata un'altra volta ostacolo ai veloci progetti di un giovin signore la cui spocchia può essere un'occasione.
Pensiamoci compagni. E non perdiamola, per favore.
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Elisa (mercoledì, 07 maggio 2014 09:57)
La Cgil dovrebbe fare quello che non ha fatto in questi anni. Diventare una forte forza di sinistra, l'unica ormai rimasta e cavalcare le richieste rivoluzionarie e democratiche del popolo che ha bisogno solo di una guida forte.
Non armatevi e partite, ma armiamoci e partiamo.
Diminuire i rappresentanti sindacali significa ancora meno tutele. Dobbiamo avvicinarci all'America, mica alla Cina.