Nuova ricetta italiana per i beni culturali: musei VIP - di Adamsberg -

Di questi tempi si fa un gran parlare di riforma e rivoluzione nei beni culturali. In nome dell’illuminato principio del risparmio e dei tagli agli sprechi nella spesa pubblica (che tradotto significa: tagli ai servizi pubblici), il governo ha adottato una dieta dimagrante per il vecchio Ministero per i Beni e le Attività Culturali, di recente fresco sposo del Turismo. Per la gioia di chi ha preparato a lungo il terreno, sparando a zero sull’ente, che oltre ad essere vecchio, polveroso, stantio, sarebbe popolato unicamente da burocrati che rallentano e ostacolano il naturale processo di crescita e arricchimento del Paese.

Non vogliamo soffermarci a lungo sulla questione della riforma, ci sarà tempo e modo nei

 


prossimi giorni. Vogliamo invece raccontare la storia di un Soprintendente, uno qualsiasi tra quei numerosi dirigenti a cui si darà una piccola sforbiciata.

Il Soprintendente di nostra conoscenza potrebbe essere considerato un’eccellenza e un baluardo della cultura italiana. Per quali motivi? E’ relativamente giovane; ha superato un concorso piuttosto impegnativo senza spintarelle; ha una solida preparazione professionale; non ha agganci politici; paga regolarmente l’affitto di un appartamento nella città dove lavora (che non è la città dove vive la sua famiglia); non se la tira; tratta i dipendenti come persone, e non come numeri; lavora molte ore al giorno, anzi per meglio dire si ammazza totalmente di lavoro, nella convinzione che questa attività abbia pure una valenza sociale. Ci crede totalmente, e ci investe. Da questa descrizione, appare evidente che nel nostro paese si può considerare uno sfigato, o al massimo un esemplare di specie rara.

Ultimamente, però, ha l’aria stanca e preoccupata. Il personale del suo ufficio diminuisce, e la quantità di lavoro aumenta. Lo stato gli ha ridotto drasticamente i finanziamenti, per cui deve procurarsi da solo i soldi per pagare l’attività scientifica di sua competenza (che tradotto significa: studio, ricerca, tutela, restauri, valorizzazione, comunicazione pubblicitaria, cataloghi di mostre, e pure le spese per il personale di vigilanza aggiuntivo, perché quello che ha non gli basta più).

Praticamente, deve trovarsi i soldi per fare al meglio il lavoro che gli spetta.

Il soggetto in questione non ha uno stipendio astronomico, non veste all’ultima moda, e si sposta in treno come un qualsiasi viaggiatore, perché “governa” un territorio ampio (che tradotto significa: va alle riunioni in città diverse, città dove sorgono i musei, i laboratori di restauro, i palazzi, le chiese, eccetera, cioè i luoghi d’arte dove esercita le sue funzioni).

Fino ad ora non si è arricchito, non ha accumulato nulla: ciò conferma la nostra prima ipotesi, vale a dire che si tratta di un vero sfigato. Per fortuna la riforma provvederà a eliminare questi soggetti noiosi e piuttosto inutili. Perfino un poco incapaci, secondo i parametri correnti.

Abbiamo sempre saputo che i secchioni e gli sgobboni sono esseri totalmente inutili. Che la preparazione, il sacrificio e la professionalità non bastano. I tempi sono cambiati, e bisogna essere flessibili. Adeguarsi, rinnovarsi, e portare una nuova ventata di freschezza alla nostra cultura. Perché la nostra cultura produce ricchezza. E se non quantifichiamo questa ricchezza, siamo dei perdenti. Pertanto, il governo ha introdotto una nuova variante, premiando un certo numero di musei, che qui chiameremo Musei Vip. E’ una novità della riforma. Abbiamo la lista completa di questi musei. Come sono stati scelti? Che cosa hanno di diverso dagli altri? Ebbene, producono ricchezza. Oppure lo stato ha deciso di scommetterci dei soldi, pertanto in futuro dovranno produrre ricchezza. E per gestirli, non può bastare un Soprintendente come quello che abbiamo descritto. Anche se pochi anni fa ha vinto regolarmente un concorso statale per fare questo lavoro.

L’Italia ha bisogno di pescare nuove eccellenze all’esterno: altri italiani che sappiano fare meglio questo lavoro, oppure stranieri che già lo fanno al meglio all’estero. Non sappiamo ancora chi deciderà nella selezione pubblica dei dirigenti migliori, in base a quali titoli, e quale sarà la commissione che valuterà queste eccellenze.

Sappiamo inoltre che tutti gli introiti guadagnati con la vendita dei biglietti saranno devoluti ai musei stessi, che potranno riutilizzarli per le loro attività. Ma se non sei un Museo Vip, come fai? Se il museo dove lavori sorge in una città un po’ marginale, o periferica rispetto ai traffici turistici, come fai? E se non guadagni abbastanza, vuol forse dire che non sai fare al meglio il tuo lavoro? Se le tue attività producono ricchezza immateriale, che non si può quantificare economicamente, non correrai mica il rischio di passare per uno che non sa fare il proprio lavoro, vero?

Confermo di fare parte, da sempre, della categoria dei perdenti, perché mi faccio troppe domande, quando dovrei conoscere già le risposte.

Gli storici dell’arte sono forse dei venditori di beni pubblici? L’Italia è ricca di giacimenti archeologici, e non di giacimenti petroliferi. Infatti l’energia l’abbiamo sempre importata dagli altri paesi. Ecco, forse, qual è il problema. Per fortuna abbiamo capito in tempo che bisogna evolvere. E rinnovarsi.

 

 

 

 

 

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