1984 - 2014: il grande incubo - di Adamsberg -

L’ultimo treno è partito. Si è improvvisamente consumato il tempo utile per allontanarsi dalla città, perché dopo una certa ora scatta il coprifuoco. Me ne sono accorta troppo tardi, ma mi avvio velocemente verso la stazione, nella speranza di trovare qualcosa o qualcuno. Le porte di accesso sono sbarrate, le vie d’acqua non sono più percorribili. Attraverso corridoi dove trovo derelitti a terra, stracci, sporcizia, desolazione. Mi dirigo verso il piazzale dove abitualmente partono le corriere, ma è improvvisamente divenuto un anonimo parcheggio,


privo di vite umane. Se ve lo state chiedendo, si tratta di un incubo. Uno dei miei incubi molto strutturati, pieni di dettagli verosimili. L’angoscia che lo accompagna è tangibile.

Un amico terapeuta, al quale ho chiesto se esista qualche rimedio per questi incubi, mi ha spiegato che sono manifestazioni di natura emotiva, relative a situazioni irrisolte in cui sono ancora impantanata. L’incubo della città lo vivo tutti i giorni, e speravo di trovare un po’ di pace almeno durante le ore notturne. Qualche giorno fa mi è venuto in mente il libro di George Orwell, 1984. Una libera associazione di pensieri che partiva dal Festival della Comunicazione di Camogli, concluso da poco, e in particolare dall’intervento di Umberto Eco sulla comunicazione on-line tra le persone. Cause, effetti, conseguenze, trappole e patologie dei tempi moderni.

A causa del mio lavoro sono costretta a continui spostamenti sui mezzi pubblici, e a contatti ravvicinati con altri esseri umani. Li guardo “smanettare” con cellulari di ultima generazione. Sono incollati allo schermo, e passano il tempo a fare giochini, a inviare messaggi o a usare facebook. Spesso hanno le cuffie alle orecchie.

Sono totalmente isolati. La cosa inquietante è che quasi non si distinguono differenze generazionali: adolescenti o adulti, fanno tutti le stesse cose. Mi soffermo a osservarne i volti, e resto sgomenta. C’è ormai quest’abitudine a riempire il vuoto del tempo in qualsiasi maniera. Ora prevale la predisposizione a riempire il tempo usando il mondo virtuale. Non è un mondo molto diverso da quello che descriveva Orwell, pieno di automi che usano un linguaggio preconfezionato con una neo-lingua e un vocabolario in evoluzione, ma impoverito. Postare, twittare, taggare, farsi un selfie. Le possibilità tecnologiche offerte dai cellulari moderni, se usate in maniera compulsiva, sviliscono il pensiero, le capacità dell’occhio umano, quelle del linguaggio e anestetizzano le emozioni. I contatti sono effimeri, gli amici si eliminano con un clic, si fotografa qualsiasi cosa, dall’animale domestico al cibo. Certo, alcuni usano in maniera ottimale gli strumenti offerti dalla rete, perché ne hanno le capacità conoscitive, ma molti altri non sanno difendersi, e ne possono diventare vittime più o meno consapevoli.

L’amico terapeuta, che usa un linguaggio simile al mio, dice che gli esseri umani hanno una crescente difficoltà a entrare in relazione. Per entrare in relazione servono un tempo fisico, difficile da quantificare, e una condivisione di pensieri e parole, che possono cementificare in aggregazione, scambio, amicizia, collaborazione, o in un fattivo rapporto di lavoro. Se ci manca tutto questo, rischiamo seriamente di trovarci indifesi di fronte agli attacchi della politica e delle nuove classi dirigenti, che basano quasi esclusivamente le loro “politiche di sviluppo” sul tam tam della comunicazione. Una comunicazione effimera e martellante, fatta di slogan e parole vuote. Una comunicazione aggressiva, povera di contenuti. Affidata al tweet e non al confronto fattivo con la cittadinanza e le sue rappresentanze. Ma che fa breccia nel nostro sistema di comunicazione e relazione ormai passivo, progressivamente indebolito di fronte alla volgarità e al malcostume dilagante. Quando invece ci uniamo per difendere qualcosa a cui teniamo, e che rischia di esserci portato via – per esempio i valori comuni o qualcosa che abbia un forte significato condiviso – recuperiamo forza. Dobbiamo tornare ad esercitare i nostri diritti, e a riconquistare forza contrattuale, visibilità, slancio, energia e passione.

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