Maddechè: La piccola canaglia, la vecchia guardia e tutti noi

C'è stato un momento in cui i dirigenti di un partito erede di quello comunista hanno deciso di cavalcare la tigre, le hanno tentate tutte: hanno cambiato nome più di una volta, si sono fusi con le rimanenze degli altri partiti, compresi i partiti di cui furono fieramente


avversari. Queste acrobazie sono state accompagnate da sofferenza, riunioni lunghe, richiami ai sacri padri fondatori, un organismo ancora vivo, benchè colpito, si interrogava sulla propria esistenza. Il tempo è passato, di quel partito non è rimasto neanche il giornale. A ricordarcene lo spettro solo qualche vecchio dirigente che prima lo ha ucciso e ora ne rivendica l'eredità. In questi giorni si inseguono i numeri impietosi che hanno sancito la rinuncia alla rappresentanza sociale del mondo del lavoro. In nome della lotta alla precarietà e all'uscita dalla crisi, si sono assunte la libertà di licenziare e il primato dell'impresa sul lavoro. Di tutta la storia che considerava lo statuto dei diritti dei lavoratori una cosa importante ma fondamentalmente arretrata, sono rimasti un gruppetto di astenuti e una manciatina di no.

Non ne faccio una questione di meglio o peggio, è andata così.

Quello che mi preme dire è il contorno: le dichiarazioni da piccola canaglia le l'abbiamo sentite, gli interventi di quelli che prima avevano un ruolo e ora sono i capi di piccolissime combriccole li abbiamo sentiti, non mi sono consolato, non mi sono emozionato, non ho pensato di essere difeso o rappresentato. La giovane canaglia invece delle battute da nemico della parrocchietta avrebbe potuto dire: ho seguito le vostre orme, ho portato a conseguenza i vostri ragionamenti. Vi lamentate perché non uso le posate a tavola? Voi non siete la vecchia guardia, voi siete un pezzettino della vecchia guardia. Il resto è con me, io ho vinto le primarie, io ho preso il 41,8 percento, io ho fatto il patto di sangue che ha tradito Prodi. La giovane canaglia non ha la grandezza tragica per dire parole sanguinolente e di verità, si accontenta di cento quaranta caratteri. D'altra parte se Cuperlo è il leader di qualcuno ci sarà pure un motivo.

Ripetere che si rimane alle questioni di merito quando è il discussione il rapporto fra capitale e lavoro è un modo di rispondere alla tempesta con l'ombrellino da borsetta. Utilizzare come arma di pressione una piccola parte del gruppo parlamentare, gli emendamenti al testo come nuove tavole della riscossa operaia è tenero ma non cambierà la dura realtà.

Pensiamoci un attimo, stacchiamoci per un attimo da chiacchiericcio delle dichiarazione che si rimpallano a velocità supersonica, la vita si è trasferita in qualche altro luogo, ci raccontano ogni giorno delle mirabilie che arriveranno con la libertà di licenziare a capriccio, ci dicono che la colpa del precariato è del sindacato, chiedono ad ognuno dove si trovava quando l'aids impazzava, le torri gemelle crollavano, Berlusconi vinceva le elezioni, Bossi era uno statista, La Russa ministro della Difesa, Alemanno sindaco di Roma. Già, me lo domando pure io, porca puttana, dove eravamo quando si è affermato che non è il lavoro ma il profitto il valore che regge la nostra società? Poi esco dalla trance polemica e me lo ricordo dove stavo, potrei fare una mappa e un calendario per tutti i posti dove sono stato a protestare e non ero neanche solo. Certo non abbiamo vinto visto che stiamo così, figuriamoci se neanche lottavamo. Poi esco anche dalla trance nostalgico reducistica e mi butto sulla speranza dei prossimi giorni, non dei prossimi anni, non della prospettiva storica. Servirebbe che le persone morse dalla crisi smettessero di viverla come vergogna individuale e si facessero sentire collettivamente, servirebbe il rifiuto dell'equazione meno diritti uguale più lavoro.

Servirebbe qualche circolo del PD che rivendicando le primarie e il 41,8 per cento dicesse di lasciar perdere lo statuto dei lavoratori, servirebbe andare a votare il referendum anti fiscal compact nella prossima primavera e naturalmente vincerlo, servirebbe che la manifestazione del 25 ottobre promossa dalla CGIL e dalla FIOM fosse concepita da ognuno come la propria manifestazione, che fosse grande e ordinata per questo. Servirebbe un bel giorno per vedere se l'erba ricomincia a crescere e l'acqua a scorrere.

 

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Commenti: 4
  • #1

    Renato La Manna (mercoledì, 01 ottobre 2014 22:01)

    Gradevolissima ed incandescente lettura!!!

  • #2

    Elisa (giovedì, 02 ottobre 2014 16:55)

    la parola lotta sembra non faccia più parte di questo presente...ma solo del passato. Adesso rassegnazione e indifferenza insieme a rabbia e disperazione camminano dandosi la mano. Bisogna vedere come andrà a finire... mah

  • #3

    attikus (venerdì, 03 ottobre 2014 11:14)

    è giusto che ci sia questo declino e che continui ancora: se dante riscrivesse la commedia oggi, metterebbe noi tutti tra gli ignavi.
    Forse per paura o per tornaconto, o forse perchè la pancia non è ancora vuota, accettiamo questo degrado civile e morale senza esprimere alcun dissenso visibile verso questa classe politica/affaristica perciò.......

  • #4

    immacolata (mercoledì, 08 ottobre 2014 12:34)

    NON TI OFFENDERE, MA SINCERAMENTE TANTA COLPA CE L'HA ANCHE LA CGIL SE CI TROVIAMO IN QUESTA SITUAZIONE E QUESTA PICCOLA MANIFESTAZIONE A FRONTE DI QUESTI GRANDI PROBLEMI MI SEMBRE BEN POCA COSA COME LE QUATTRO ORE (!!?!) DI SCIOPERO MESSE IN CAMPO ALL'EPOCA DELLA RIFORMA FORNERO CHE HANNO AVUTO COME EFFETTO IMMEDIATO AUMENTO DELLA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE E TANTI VECCHI CHE LAVORANO.........