Una storia da raccontare: la centrale di Polesine Camerini. - di Adamsberg -

Qualche giorno fa ho visto alla tivù un servizio sui lavoratori della centrale di Polesine Camerini a Porto Tolle, in provincia di Rovigo. E’ un vecchio stabilimento dell’Enel, sorto negli anni Settanta in mezzo al nulla, cioè nel delta del fiume Po. All’epoca era considerato una zona depressa, adatta per una centrale termoelettrica e per creare occupazione. Era un servizio locale,


forse di due minuti. Facevano vedere i lavoratori riuniti in assemblea in una sala molto grande, e delle brevissime immagini di sindacalisti. Non si capiva molto della situazione, a meno che uno non conoscesse tutte le puntate precedenti. Poi mi sono informata con i miei amici di Roma, chiedendo loro se nella capitale fosse arrivata qualche notizia sulla centrale di Polesine Camerini. Mi hanno detto di no.

Eppure è una storia che deve essere raccontata. Il mio incontro con la centrale risale al primo anno di università. Insegnamento di geografia, esame obbligatorio per chi studia lettere. Un esame fondamentale, e piuttosto ostico. Il professore, che ai tempi moderni potrebbe essere considerato un ambientalista, o peggio ancora un ambientalista estremista, ci parlava dell’erosione delle coste, del fenomeno della subsidenza, della VIA e della centrale di Polesine Camerini. Una centrale piuttosto brutta, come tutte le centrali. Con una ciminiera altissima a fasce bianche e rosse. Il professore, in realtà, era molto compassato ma assai insistente sulle problematiche ambientali, e sinceramente affezionato alla sua materia. Tanto che, a distanza di una ventina d’anni, me ne ricordo ancora, nonostante non amassi particolarmente la geografia. Credo sia stata la prima volta che ho imparato il concetto di Valutazione Impatto Ambientale.

Il professore piegava argomenti piuttosto elementari, dando alcune risposte di logica inoppugnabile: che senso ha costruire una centrale in mezzo ad una zona naturalistica? Che senso ha mantenere una centrale che inquina e nuoce gravemente alla salute dei cittadini? Che senso ha farle produrre energia termoelettrica sfruttando l’ecosistema, che si impoverisce e si inquina, quando le fonti di energia non sono rinnovabili, e il futuro andrà in un’altra direzione?

Facemmo perfino una gita in barcone nel delta del Po: era obbligatoria per dare l’esame finale.

Dopo tanti anni, mi ritrovo a parlare della centrale, e nel frattempo è intervenuta la magistratura. Ha accertato il danno ambientale e il danno alla salute dei cittadini, in particolare dei bambini. Ha condannato i manager della centrale. Chi detiene una quota consistente delle azioni? Lo stato. Che idee ha per la riconversione? La produzione di carbone: un’idea davvero geniale. Tanto che è stata scartata da poco, ma non si sa che fine abbiano fatto i finanziamenti promessi per quel progetto.

E ai lavoratori della centrale, nel frattempo, cosa è successo? Nel servizio giornalistico non lo spiegavano. Chi è interessato all’argomento può cercare in internet, troverà tutte le puntate precedenti. Nessuno, però, finora si è preso la responsabilità di fare un serio progetto di riconversione della centrale, o almeno di limitarne drasticamente le emissioni inquinanti. Accertare il danno economico e le gravi colpe di alcuni non fa, tuttavia, la differenza rispetto a problemi che interessano gran parte di siti come quello di Polesine Camerini. E che in Italia subiscono sempre deroghe.

Cosa ne facciamo dei vecchi stabilimenti inquinanti? E soprattutto, perché deve instaurarsi per forza di cose una contrapposizione mortale tra salute e lavoro? Non esiste un modo per tutelare i lavoratori, senza che debbano morire le loro famiglie e quelle di molti altri cittadini, per conservare uno stipendio e una qualità della vita sempre più bassa? Nel frattempo, ci auguriamo di non avere ancora troppi anni di nuove puntate sulla centrale di Polesine Camerini.

 

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