Mommy - di Adamsberg -

Riusciamo a immaginare un paese in cui la legge garantisca ai genitori la possibilità di internare il figlio in un ospedale psichiatrico, qualora non siano più in grado di garantirgli assistenza e cure necessarie alle sue condizioni di salute? Qualcuno ha immaginato che questo paese esista, descrivendolo nel film “Mommy”.
La premessa è fondamentale per individuare i termini della questione delicatissima, che pone interrogativi ai quali il regista non concede sconti
 di alcun genere, mostrando senza filtri sentimentali cosa significa per una madre single accudire e crescere un figlio adolescente affetto

 


da patologie gravi che comportano problematiche a livello psicologico, emotivo e comportamentale, senza alcuna assistenza.

Lo spettatore vive in presa diretta la dimensione quotidiana del vissuto familiare, fatta di convivenza, amore misto a violenza, fatica, speranza, conti che non tornano, ricerca di un lavoro che non c’è, educazione, scuola e rapporti con gli altri esseri umani.

Il registra rovescia addosso allo spettatore tutto quello su cui abitualmente si chiudono gli occhi per pudore, paura, pigrizia, disinteresse o ignoranza, o perché risulta più facile pensare che il problema sia sempre di qualcun altro, fino a quando non ti tocca in prima persona.

Si tratta di un film intenso e duro, che smuove nel profondo come un buon film dovrebbe fare, e per questo va assolutamente visto: insegna a prendere contatto con la realtà, a immedesimarsi nelle storie degli altri, a preoccuparsi, a soffrire, a indignarsi, a commuoversi e a godere delle piccole gioie che comunque la vita riserva.

Insegna, soprattutto, a osservare da un nuovo punto di vista il concetto tradizionale di famiglia e a cancellare la distinzione di comodo che ancora esiste fra persone considerate normali e persone disadattate. E trasmette un messaggio di speranza potentissimo, indipendentemente dalla trama e dal finale: qualsiasi persona abbia subito un trauma non deve essere trattata come un soggetto malato, da tenere a distanza, da sopportare con pazienza, perché potrà riconquistare fiducia e guarire dentro nella misura in cui riceve e trasmette amore, condividendo la vita di tutti i giorni con altri esseri umani con cui costruire un nuovo nucleo familiare, senza una rigida distinzione di ruoli e gerarchie precostituite.

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