Lavoratori e Croce Rossa, una sentenza e niente scuse

Ventotto agosto duemilaquindici, una data che deve essere ricordata e celebrata, il Tar del Lazio ha emesso una sentenza in un procedimento chiamato giudizio di ottemperanza fra una ventina di lavoratori e la Croce Rossa Italiana. I lavoratori tutti precari pluriennali, avevano fatto causa al loro datore di lavoro, il giudice in primo grado

aveva dato loro torto: non avevano diritto alla stabilizzazione.
Successivamente la corte d'appello di Roma aveva riformato la sentenza del Tribunale e questi lavoratori dall'inferno del precariato per sentenza, si erano ritrovati nel paradiso dei
lavoratori senza data di scadenza. La sentenza della Corte d'Appello non è stata impugnata ed è quindi diventata definitiva, tutto a posto dunque, la giustizia aveva riparato ad una ingiustizia e ora si
poteva finalmente stappare quella benedetta bottiglia. Non è stato così, la sentenza è passata in giudicato ma alla Croce Rossa non se ne sono fatti una ragione, “ non dice che dovete essere
stabilizzati, quindi non vi stabilizziamo”, dicevano agli sbigottiti lavoratori. C'è voluto un bravo avvocato e appunto la sentenza del TAR del Lazio per arrivare alla seguente conclusione:
"la sentenza della Corte d'Appello, invero, si palesa chiara,intellegibile, coerente e logica, tanto da essere perfettamente intesa ed apprezzata dagli organi burocratici dell'Ente, per cui i
dubbi ermeneutici sollevati dalla resistente costituiscono un chiaro ed evidente intento elusivo della decisione giudiziaria”. Capito il concetto? Hai fatto lo scemo, non sei scemo. Segue l'ordine di
stabilizzare i lavoratori a far data dal 2008, la condanna alle spese legali e fissa l'anticipo da dare al commissario ad acta nel caso la CRI non facesse le cose per bene entro sessanta giorni. 

Questo è quanto, ora possiamo svolgere un micro ragionamento.
I ventuno lavoratori erano precari della gloriosa CRI ente pubblico in via di privatizzazione, svolgevano la loro opera meritoria al centro educazione motoria di via Ramazzini a Roma, mentre qualche scienziato del diritto studiava come eludere la sentenza della Corte d'Appello di Roma, il loro posto di lavoro da precario e pubblico è diventato privato, alle dipendenze del comitato provinciale di Roma. Queste ventuno persone si sono viste precipitate, con una sentenza favorevole e passata in giudicato, in un altro contratto, con altre regole. Poco male si può dire, un lavoro l'hanno mantenuto, tanta
gente perde il lavoro, si certo il disagio, però alla fine c'è chi sta peggio. A parte il fatto che come si dice al peggio non c'è limite e se ci mettiamo a fare la gara a chi sta più male non la
finiamo più, bisogna per forza metterci dentro un altro paio di cose: 1) se la sentenza fosse stata correttamente eseguita i ventuno avrebbero potuto fare la domanda per altri posti di lavoro pubblico,
si sarebbero ricollocati e non avrebbero rischiato di far parte dei lavoratori in esubero passibili di licenziamento dopo due anni di mobilità. Forse ancora faranno in tempo a non essere futuri
disoccupati ma il tempo trascorso inutilmente non sarà loro restituito. Seconda ed ultima cosa, lo scienziato legge la sentenza, non la capisce o non la vuol capire, l'ipotesi della scemitudine
sebbene scartata dal TAR ha comunque una sua forza, chiede consiglio, qualche altro soggetto legge le stesse righe, non si arriva ad una conclusione, i lavoratori cominciano a rumoreggiare, riparlano con lo sbigottito avvocato, l'avvocato scrive, ma lo scienziato non si smuove e/o non lo fanno smuovere, l'avvocato presenta il ricorso per il giudizio di ottemperanza, qualcuno alla CRI lo legge, se ne
impippa e dice all'Avvocatura dello Stato di resistere, nessuno dell'Avvocatura dice alla CRI la semplice frase: “ma che siete cretini?”, l'avvocatura prepara la risposta, si arriva all'udienza
tempo per arrivarci, tempo per stare, tempo per aspettare la decisione, il tempo dei giudici, quello dei cancellieri, quello degli ufficiali giudiziari. Tutto questo per arrivare a farsi dire che era
tutto chiaro. Effettivamente ci vuole una scienza, la scienza dello spreco, la scienza del tanto paga qualche altro. Non è solo per mille e cinquecento euro di spese legali, è per l'opportunità
sfumata per i ventuno è per tutto l'amba aradam che si è messo in moto, questa roba costa di più delle spese legali e mancano ancora due cose: quali provvedimenti sono stati presi nei confronti di chi
ha sbagliato così grossolamente e le scuse ai ventuno. Sarebbe bello che arrivasse loro una lettera semplice e chiara: la Croce Rossa Italiana vi chiede scusa, dopo tanti anni di lavoro non meritavate un
trattamento simile.

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Commenti: 1
  • #1

    Elisa (lunedì, 07 settembre 2015 13:54)

    Sante parole... soprattutto la CRI senza i volontari e i precari non è quello che è diventata e che è stata gloriosamente magnificata. Che amarezza