Vedi un uomo che corre affannato in mezzo a una folla. Gli abiti lacerati, vedi bandiere, intuisci grida, ecco ne spunta un altro, sta scavalcando senza camicia una recinzione e mettersi in salvo fra divise amiche. Si capisce da pochi fotogrammi, una foto, la rivoluzione non è un pranzo di gala.
Air France ha annunciato gli esuberi, quasi tremila. Gli esuberi come è noto
non sono persone, i mercati esigono un segnale, le quote di mercato, la concorrenza, i margini di profitto, la necessità di ristrutturare per reinvestire e reggere la spinta delle altre
compagnie. Le sentite le parole della religione sul cui impero non tramonta il sole?
Il vecchio di Treviri l'aveva scritto per tempo, come tutte le verità importanti è antiintuitiva, i proletari hanno da perdere soltanto le loro catene, per questo devono unirsi non in un solo
paese, non per
un solo paese ma di tutto il mondo, per tutto il mondo. Il mercato è il luogo della guerra fra imprese, devi produrre meglio a costi minori, devi guadagnare. Devi investire, devi acquisire, ad un
certo
punto devi licenziare, sbarazzarti degli esuberi. Se non lo fai non ce la fai. Salti oppure crepi.
Qui, proprio qui, il dipendende della grande impresa, quello che aveva un certo orgoglio a presentarsi come parte di un brand, si accorge che ha solo catene. Se il mercato ha delle esigenze
bisogna assecondarlo, come i mostri mitologici che esigevano doni e adorazione prima e sacrifici umani poi. Quando arrivano le esigenze del mercato, il mutuo, la macchina nuova, la vacanza
immortalata nelle foto che mostri agli amici non ci sono più, ti accorgi che sei una risorsa umana, puoi essere sacrificato. Questa storia tocca tutti e in tutti i settori. Ogni lavoratore sa,
nell'intimo lo sa, anche se la cosa
non è bella, di essere totalmente dipendente da una situazione che non controlla sotto nessun punto di vista. Puoi essere capace, puoi essere rispettoso della proprietà privata, puoi aver voluto
evitare
di mischiarti coi sindacati o coi comunisti, ad un certo punto lo sai, il mercato verrà da te e il padrone o un suo incaricato con la camicia ancora intatta, ti dirà le fatidiche parole: la stimo
molto,
si rifarà. Esternato così il mio odio di classe, devo per forza tornare ai fotogrammi della corsa desnuda, ne abbiamo visto altre di persone che scavalcavano recinzioni e abbiamo fatto il tifo
per loro, non riesco perciò a compiacermi, anche se fossi stato dalla parte degli inseguitori, di una scena che mostra tutti i limiti dell'umanità.
Sinceramente il fatto che i ricchi ipoteticamente piangano, non allevia minimamente la mia condizione, tremila licenziamenti restano e non sono due nudisti per forza a farmeli dimenticare, non
c'entra l'umana pietà oppure non essere forgiato alle durezze della lotta, c'entra il fatto che non intravedo l'altra faccia della medaglia. La gente viene licenziata quotidianamente senza tanto
clamore, buttata fuori di casa perché non può pagare l'affitto, costretta ad emigrare per vivere e considerare la morte una opzione accettabile fra quelle possibili. La corsa senza camicia di due
sacerdoti del mercato non mi risolve niente. Sarà trovata una soluzione per i tremila? Boh. E per tutti gli altri tremila ad ogni angolo della terra? Sta qui la questione delle catene, il Moro si
riferiva ai proletari membri di
una classe sociale, se sei un proletario e non ti organizzi al livello adeguato hai, anche se non le vedi, le catene ai piedi e il lucchetto al cervello. Acchiapparella è un bel gioco da
ragazzini,
ma ad essere inseguiti siamo ancora noi.
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