Stato sociale la forza e la felicità - di Renato La Manna -

Lo stato sociale (anche detto dall'inglese welfare state) è una caratteristica dei moderni stati di diritto che si fonda sul principio di uguaglianza. Detto molto semplicemente: la rivoluzione francese introduce

il principio, che però rimane sulla carta (uguaglianza solo formale) in quanto non dice che lo Stato deve provvedere, non solo a riconoscere l’uguaglianza, ma anche a rimuovere gli ostacoli che la impediscono. Questo principio (cosiddetto dell’uguaglianza sostanziale) viene compreso appieno solo molto tempo dopo.

 

La nostra Costituzione lo ha recepito in pieno: lo Stato non deve limitarsi a riconoscere una semplice uguaglianza, ma deve individuare gli ostacoli che impediscono un’effettiva uguaglianza e, quindi, rimuoverli al fine di raggiungere una effettiva e “sostanziale” uguaglianza.

 

Da ciò deriva la finalità di ridurre le disuguaglianze sociali ed in questo si riduce il concetto di “Stato sociale” che consiste, appunto, nel sistema normativo con il quale lo Stato traduce in atti concreti tale finalità; in questa accezione si parla di welfare state (stato del benessere tradotto letteralmente dall'inglese, che qualcuno, quasi a renderlo odioso lo definisce anche stato assistenziale).

 

Con esso ci si propone di fornire e garantire diritti e servizi sociali, ad esempio: Assistenza sanitaria; Pubblica istruzione; Indennità di disoccupazione, sussidi familiari, in caso di accertato stato di povertà o bisogno; Previdenza sociale (assistenza d'invalidità e di vecchiaia: pensioni); Accesso alle risorse culturali (biblioteche, musei, tempo libero); Difesa dell'ambiente naturale.

 

Questi servizi gravano sui conti pubblici attraverso la cosiddetta spesa sociale in quanto richiedono risorse finanziarie, le quali provengono in buona parte dal prelievo fiscale.

 

Lo scopo fondamentale è quello di ridurre la povertà al fine di ridurre la delinquenza.

 

La situazione, a grandi linee, riuscì a mantenersi in sostanziale equilibrio per qualche decennio. Infatti nel periodo che va dagli anni cinquanta fino agli anni  ottanta e anni novanta la spesa pubblica crebbe notevolmente, specialmente nei Paesi che adottarono una forma di welfare universale, ma la situazione rimase tutto sommato sotto controllo grazie alla contemporanea sostenuta crescita del Prodotto interno lordo generalmente diffusa. 

 

Di fronte alla crisi dello Stato sociale e dei ceti medi (visibili in questi anni) alcuni economisti sostengono la necessità di diminuire la spesa pubblica. Su questa crisi si vedano gli effetti delle politiche economico sociali neoliberiste. Si sostiene allo stesso tempo l'idea di affidare (in tutto o in parte) a gestori privati, servizi come le pensioni (fondi pensione privati), la sanità e l'istruzione. Tuttavia i problemi di giustizia ed equità sociale, nonché il ridotto ruolo dello Stato nella redistribuzione della ricchezza, che deriverebbero da simili scelte, non sono affatto trascurabili, anzi sono molto pericolosi, specie alla luce dei risvolti dimostratisi nell'attuale crisi evidenziata nel 2008.

 

Tali teorie dimenticano i motivi che hanno portato alla nascita dello Stato sociale, e cioè ridurre la povertà e di conseguenza la delinquenza. Aumentare il livello di soddisfazione dei cittadini, la speranza in futuro migliore, che è la spinta principale di ogni essere vivente.

 

Infatti, quando si nega un futuro ai nostri figli crolla la voglia di “fare” si perde il senso dei sacrifici personali che non hanno senso, senza la garanzia di un futuro migliore per noi ed i nostri figli.

 

Quindi, perché dovremmo fare dei sacrifici, se questo Stato non garantisce un futuro ai nostri figli?

 

Quale sarebbe il senso?

 

Meditiamo…gente…meditiamo…

 

e, ogni tanto, chiediamoci il motivo per cui noi dovremmo aspirare ad uno Stato economicamente forte ma non in grado di dare risposte adeguate ai propri cittadini!

 

Cioè: “Qual è il senso di uno Stato: Quello di essere economicamente forte o, come credo fermamente, quello di rendere i propri cittadini, felici di appartenervi?”.

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