Michè, scusa se ti chiamo così in maniera abbreviata e confidenziale, ti sei ammazzato da poco, ieri i social erano pieni della tua lettera d’addio. Oggi niente, domani, niente, fra poco magari si ammazzerà un’altro o un’altro e si ricorderanno anche di te. Hai
deciso di farla finita, hai scritto di una generazione derubata, hai scritto di esserti stufato, da anticonformista, di tutta sta palla che è, alla fine, vivere.
Hai fatto una scelta, ti sei scusato coi genitori, ti sei dispiaciuto per i tuoi amici e poi te ne sei andato.
Ti prendo sul serio Michè.
Non lo so perché lo hai fatto, l’insieme delle cose che scrivi non giustificano il tuo gesto, oppure lo giustificano, credo che nessuno possa dirlo. Però ti prendo sul serio, hai voluto finire la
tua avventura in mezzo a noi, dici che ti senti lucido, in pieno controllo, va bene ma quello che scrivi è sbagliato.
Fino a quando parli di te, posso pure capirlo, ma poi ti metti a parlare della tua generazione e francamente qui divergiamo. Il mondo è questo, domina il profitto, non è una questione di
generazioni è una questione sociale, qualcuno direbbe una questione di classe. Per fare in modo che pochi godano devono essere sfruttati in tanti. Magari i tanti come te, giovani, scolarizzati,
intelligenti. Ma anche i tanti che come te non sono: gente che è nata per ventura in altri continenti, oppure gente nata nella tua stessa terra che dopo anni e anni di lavoro in fabbrica si
trovano da un giorno all’altro senza il lavoro, una prospettiva, l’identità. Voi trentenni scolarizzati e i cinquantenni espulsi dal ciclo produttivo. Voi trentenni dell’occidente opulento e i
ragazzini africani o del sud dell’America. In questo mondo funziona così e non c’è un dovere sociale alla vostra felicità, come in Matrix siamo dentro un videogioco, la maggior parte dell’umanità
fornisce l’energia per il divertimento di quelli che premono i tasti. Ti scrivo perché hai fatto una cazzata, perché i tuoi ne soffriranno indicibilmente, perché i tuoi amici si domanderanno se
potevano fare qualche cosa se potevano intuire le tue intenzioni. Non ci sarà risposta Michè e sarà altra sofferenza. Ti scrivo perché la lettera che hai lasciato consentirà a troppa gente che di
te e di quelli come te se ne frega allegramente, di parlare usando il tuo scritto per una polemica di cinque minuti. Contro chi poi, in nome di cosa? Lo so che tutto sfugge. Se il mondo se non è
raccontato come un mondo che può essere cambiato risulta totalmente privo di senso, ecco sta cosa risalta: hai rinunciato, non ci hai pensato, al mondo che può essere cambiato. Lo capisco, pure
io tante volte sto così. Però è vero, prima di noi, le generazioni che ci hanno preceduto per rimanere al tono delle cose che hai scritto, non sottraendosi hanno imposto la loro presenza, i loro
bisogni, qualcuno parlò di desideri. Insomma Michè, hai fatto una cazzata e mi si stringe tutto per quanto è stato grande e irreparabile l’errore che hai fatto. Infine, davvero nell’ultimo
momento hai pensato a Poletti? Non ci posso credere, hai studiato, amato, lavorato, tanto sofferto. Non puoi pensare a Poletti mentre te ne vai. Non è vero che la tua generazione è fregata,
irrisa, delusa. La tua generazione come quelle prima è sfruttata. In questo, per quanto è grande la faccenda, converrai sul fatto che un Poletti non vale una lacrima dei tuoi
genitori.
Michè, ti voglio bene ma non dovevi farlo.
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