Lavoro pubblico, lo scatto necessario - cosimo arnone -

Il lavoro pubblico non ha mai goduto di grande popolarità, ogni cosa storta nel rapporto fra cittadini e istituzioni, dai tempi di adamo ed eva, è attribuita alla cattiva organizzazione di quelli che dirigono, alle cattive leggi di quelli che governano o hanno governato, alla cattiva volontà di quelli che  lavorano.
E’ naturale, se devi chiedere una cosa alle istituzioni e questa richiesta è ostacolata dalla cattiva organizzazione, dalle cattive leggi o da un lavoratore scorbutico o incapace, viene naturale prendersela col pubblico. E’ meno naturale e questo è un fenomeno più recente, azzerare le responsabilità di quelli che dirigono e di quelli che governano o hanno governato e riversare tutto il riversabile nei confronti di quelli che ci lavorano. Da questa situazione non se ne esce con facilità, ognuno degli  attori della situazione concreta in cui verso il lavoro pubblico invoca responsabilità altrui: la mancanza di risorse esempio su tutto. Se per caso le risorse non sono la mancanza si ricorre alle leggi e ai regolamenti di incerta paternità e maternità. Tuttavia, nonostante sia chiaro che a volte mancano le risorse e altre volte le leggi e i regolamenti producono caos e inefficienza, anche in quei casi acclarati, la discussione sul lavoro pubblico è risolta ogni quindici giorni con la proposta di nuove norme sulla velocità di licenziamento dei lavoratori infedeli. D’incanto si riesce a non parlare più dei dirigenti, a non parlare più delle leggi, a non parlare più delle risorse e ci si ritrova ad insultare a volte giustamente a volte  no, i lavoratori beccati a volte si, a volte no, col sorcio in bocca.
Sinceramente quelli beccati a fare gli stronzi, non hanno interesse per me, sarei veramente contento se i loro colleghi, non è che solo i dirigenti sono distratti,  gli dessero qualche manata callosa in testa prima di arrivare ai carabinieri, alle telecamere eccetera eccetera. Questi stronzi col loro comportamento contribuiscono ad alzare i fumogeni sui mali del lavoro pubblico, prima vengono corretti o allontanati, meglio è.
Tuttavia se al mercato, davanti alla cesta di carciofi, è ammissibile che il cittadino faccia tutta una matassa, fra politici, lavoratori e dirigenti, i dirigenti non possono farlo, i politici e gli amministratori che intendono governare, non possono farlo.
Se la vita non è un twett c’è ancora una speranza, sopratutto se noi non ci facciamo imbrigliare dai famosi 140 caratteri.
Non escludo e anzi auspico che ci siano amministratori e politici sensibili al tema del lavoro pubblico, tuttavia mi sembra di poter dire che non sono moltissimi, certo nessun leader. La responsabilità di tutto quindi ricade, potrebbe essere diverso?, sui lavoratori e sulle loro organizzazioni sindacali.
Si è aperta la stagione contrattuale per i lavoratori pubblici, fino a questo punto la situazione è la seguente: le risorse per gli stipendi non sono adeguate, il blocco normativo introdotto dalla legge Brunetta nel 2009 e le sue successive modificazioni, non è stato rimosso, naturalmente sto scrivendo un po’ all’ingrosso, in realta ci sono state delle modificazioni, dal mio punto di vista del tutto insufficienti ad invertire la tendenza, come invece poteva sembrare alla fine di novembre del 2016. 
C’è un motivo per questa situazione? Si.
I lavoratori del settore privato e quelli del settore pubblico già non semplicemente omologabili,  sono stati uniti nella debolezza: i primi impegnati a non farsi licenziare i secondi a non farsi linciare. L’ho detto che non è una cosa banale, non se ne esce con una formuletta, con una formuletta si poteva uscire dalla legge Brunetta intervenendo sul sistema di gerarchia delle fonti su tutte le materie del rapporto di lavoro, qui però siamo oltre la soluzione tecnico giuridica, siamo di fronte alla necessita di riprendere i fili di una società sempre più slabbrata. La centralità del lavoro pubblico è questa cosa qui, rendere possibile la esigibilità dei diritti costituzionalmente garantiti a tutti i cittadini e, per questa via, ricostruire una coesione sociale che passi attraverso la certezza dei diritti e dei doveri di ognuno .
I tempi sono maturi per mettere in campo una campagna sul lavoro pubblico a partire dai lavoratori pubblici che risponda almeno a due  domande : per chi? Come?
Le risposte non sono banali perché non siamo in un laboratorio, siamo immersi nella società, nella società ci sono conflitti e diseguaglianze, le risorse non sono illimitate e chissà quante altre variabili ci sono e non ho considerato.
Partire dai lavoratori pubblici per risolvere la questione del lavoro pubblico non significa partire dal dato sindacale inteso in senso stretto e dovessi essere onesto fino in fondo forse non è neanche la migliore scelta metodologica. E’ quello che c’è considerando il quadro di contorno, questi politici, questi amministratori, questi giornali. Allora partire dai lavoratori pubblici, significa chiedere ancora una volta uno sforzo alle loro organizzazioni. C’è bisogno di gettare un sassolone nello stagno delle dichiarazione quotidiane, sia il sindacato a dire la sua in maniera organica. Vogliamo che quando un cittadino varca la soglia di un ufficio pubblico sia trattato con dignità, vogliamo che riceva un buongiorno e non un checazzovuoi, vogliamo che abbia risposte positive o negative, chiare e in tempi certi. Cosa impedisce che ciò si realizzi? Il fatto che ci siano stronzi che timbrano e scappano o maestre che picchiano i bambini mica dipende dal contratto di lavoro o dal codice disciplinare, dipende dal fatto che sono stronzi e che il controllo dirigenziale e sociale è allentato. Prima della legge Brunetta c’erano dei comuni virtuosi nel rapporto col cittadino, non era la contrattualizzazione del rapporto di lavoro la nemica dell’efficienza, forse non è stato a suo tempo abbastanza evidenziato.
Se siamo d’accordo che nessuno va accolto col checcazzo vuoi, dobbiamo concentrarsi su come realizzare questo ambizioso obiettivo, avere questo obiettivo significa rinunciare alla chiacchiera fra addetti ai lavori ed entrare nel vivo della struttura produttiva la prestazione, mezzi e struttura organizzativa. Significa contrattazione dell’organizzazione del lavoro?
No, non si tratta di contrattare l’organizzazione del lavoro, non si è mai fatto, non è stato mai possibile o previsto. Sul punto credo ci sia un equivoco, chi non ci crede vada pure a controllare le stagioni contrattuali nel pubblico P.B. e se ne renderà agevolmente conto. L’organizzazione del lavoro è : persone, le risorse economiche e strumentali, l’organizzazione nei confronti del processo produttivo interno e nei confronti degli utenti esterni e nei confronti delle altre istituzioni. Intendiamoci il sindacato è parte fondamentale del processo, deve fare il suo e cercare di farlo al meglio, ma nella situazione attuale, fare il meglio non basta, lo so che sarebbe già grasso che cola, ma non basta. Il mondo è cambiato, non è solo il lavoro a ciclo continuo, è la vita che è diventata molte vite intrecciate e costantemente vive.
Io penso ad una radicale delegificazione del rapporto di lavoro, non sono l’unico per fortuna e il sindacato è in gran parte su questa strada, far rinculare la pubblicizzazione del lavoro pubblico è una condizione per riformare la pubblica amministrazione e liberarla dalla burocratite, se vuoi dare risposte veloci ad un mondo che va veloce non puoi aspettare ogni volta un provvedimento legislativo. Se vuoi che i lavoratori siano protagonisti non puoi trattarli da risorse umane, devi trattarli da protagonisti, da pari, non da passivi esecutori.
Ora comincia la parte dolente: lo scatto d’ingegno che propongo quindi si compone di una idea che è quella della relazione positiva con l’utente, buongiorno e no fottiti; di uno studio su quello che va e quello che non va, senza ricami neo romantici; della radicale delegificazione del rapporto di lavoro, anche qui, il dipendente pubblico  a volte è vincitore di un concorso non il componente di una razza speciale; infine scusate la mossa finale quella che mi farà alienare amicizie ventennali, bisogna arrivare, contrattualmente alla liberalizzazione degli orari nella pubblica amministrazione e utilizzarla come leva per la trasformazione necessaria. Se una pagina internet tarda a caricarsi, diciamo se ci mette più di dieci secondi, noi cambiamo giro, imprechiamo sulla tastiera, diamo la colpa alla connessione, al computer, alle divinità, all’invasione delle cavallette. E’ così per ognuno che entra nei nostri uffici, è così per ognuno che si sente rispondere che la visita potrà essere effettuata in un tempo indefinito dopo la luna piena del quarto mese del nuovo anno. Se il pubblico vuole un futuro deve essere il futuro, lo deve anticipare e non subire come una tastiera gli improperi del visitatore internettiano. Faccio un esempio, col nuovo contratto ci saranno quattro grandi comparti nel lavoro pubblico, funzioni centrali, enti locali, sanità, scuola, bisognerà omogenizzare il trattamento economico e normativo delle persone che ci lavorano, impresa non proprio banale, va bene, ma aggiungo se vuoi fare una cosa che abbia un segno riformistico anche per i cittadini devi anche fare in modo che le istituzioni che compongono un comparto parlino fra di loro e con gli altri comparti. In un processo produttivo pubblico immaginario, siamo sicuri che il cittadino utente della scuola non abbia per la medesima questione, necessita di una relazione con l’ente locale o con quello sanitario? Io sono sicuro del contrario, in questo senso la contrattazione dell’organizzazione del lavoro assume la propria pienezza ed entra in relazione con la società che il lavoro pubblico vuole servire. Utilizzare la leva dell’orario di lavoro, spingerne la flessibilità contrattata fra settori diversi con ciò che comporta in termini di nuovo equilibrio fra tempi di vita e di lavoro per tutti, può essere la strada per non essere visti come estranei, nelle città che abitiamo. Contemporaneamente può essere la strada per la quale tu che organizzi i lavoratori pubblici sei protagonista del cambiamento, non una vittima, certe cose non si possono fermare o le governi o ne sei sopraffatto.    

contratto subito e anche il resto