Per i lavoratori e le lavoratrici Embraco dovrebbe essere arrivata una boccata d’ossigeno proprio in queste ore, meglio di niente. Da quanto è dato di capire si
sono posticipati i licenziamenti in attesa di una soluzione imprenditoriale che si sta ricercando. Non è poco tutti quelli che si sono impegnati, in primo luogo gli operai e le loro
organizzazioni, hanno fatto un gran lavoro.
La ditta Embraco ha deciso che è più conveniente trasferirsi da un’altra parte. Lo stile non è stato impeccabile se addirittura il ministro Calenda si è lasciato andare ad espressioni
irriferibili. A parte lo stile però rimane scritta a caratteri cubitali una frase che abbiamo sentito pronunciare anche in alcuni film di mafia: niente di personale, gli affari sono affari.
Questo è alla fine il succo: gli affari sono affari.
Gli operai senza lavoro sono risorse, umane?, al pari delle macchine, dell’immobile. Roba da calcolare insieme al trattamento fiscale, alla logistica, all’infrastruttura normativa e
burocratica.
Il fatto che questi licenziamenti siano arrivati in piena campagna elettorale ci aiuta a valutare le politiche che vengono proposte, non ne farò una rassegna che mi annoio, mi limiterò a qualche
considerazione.
I padroni fanno i loro conti, verificano la loro convenienza e se il gioco vale la candela, se ne vanno altrove.
E’ sempre stato così?
Si.
E’ colpa della globalizzazione? No.
Il capitalismo è sempre stato globale, come anche il comunismo delle origini. Poi i comunisti si sono abbastanza liquefatti e sono rimasti i padroni a conoscere le lingue.
E’ colpa dell’Europa? No. Casomai l’Europa potrebbe essere un argine se ci fosse qualcuno dalla parte degli operai.
Sono immorali i capitalisti? Macchè fanno i loro interessi, stanno in guerra fra loro giorno e notte, sono feroci con gli operai come lo sono fra di loro, diciamo che gli operai sono quelli che
ci rimettono di più.
I padroni chiudono da una parte e aprono da un’altra, in quell’altra troveranno condizioni di lavoro più favorevoli al profitto, migliori condizioni fiscali. La miseria per i lavoratori italiani
si tramuterà in benessere – vabbè, ci siamo capiti - per lavoratori stranieri.
Se qualcuno vuole capire cosa significhi guerra fra poveri fuori dalla melma moralistica, deve passare da qui, dal fatto che si mettono contro bocche contro altre bocche.
Sembra quasi un fenomeno naturale, se mangio io non puoi o non devi mangiare tu. Prima noi e poi loro vuol dire proprio questo, a volte sei tu a saziarti, a volte sono gli altri.
Ora la domanda che dovremmo porci è la seguente: è possibile arginare il fenomeno della delocalizzazione con politiche nazionali? Oggi magari dai una strattonata
alla multinazionale brasiliana, domani dai una strattonata al padrone italiano che apre in Romania, ma poi dopodomani ne esce fuori un altro e poi un altro ancora, perché ci troviamo davanti ad
un fenomeno strutturale alla società capitalista: la ricerca del profitto.
Siccome questo è un dato è inutile girarci intorno, staremmo soltanto a prenderci in giro. Ci vuole una politica internazionale che definisca bene i limiti delle imprese e per farlo ci
vuole una politica fiscale comune, ci vuole una legislazione del lavoro comune, ci vogliono contratti di lavoro su scala continentale. Ci vogliono istituzioni su base sovranazionale, certo quelle
che abbiamo non danno grande mostra di se. Si lo so, è più facile dire che la colpa è dell’Europa, oppure della malignità padronale, è più facile dire faremo, batteremo i pugni sul tavolo.
E’ più facile dire con quelli non ci parlo più o fare lo smargiasso in televisione.
Mi piacerebbe qualcuno che dicesse una cosa simile: i lavoratori di ogni paese sono nostri fratelli, con loro e con le loro organizzazioni parleremo e troveremo le soluzioni per fare in modo che
non sia unica la lingua del nostro continente.
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