IKEA ha rotto i coglioni - cosimo arnone-

IKEA ha licenziato una lavoratrice che ha strillato al suo capo “ mi avete rotto i coglioni”. Il giudice del lavoro di Milano ha confermato il provvedimento, stabilendo che il fatto è avvenuto e che il Contratto di lavoro prevede il licenziamento per insubordinazione e comportamento oltraggioso. I fatti secondo il giudice permettono il provvedimento disciplinare espulsivo. Viene riportato proprio questo termine: provvedimento espulsivo.
Direi che siamo oltre ogni criterio di proporzionalità, se ne dovrebbe accorgere anche un giudice, cavolo.
Se mi fermano i carabinieri e io perché sono nervoso me ne esco con una frase del genere, possono succedere due cose: i carabinieri fanno finta di niente, capiscono che magari ho un problema che non riguarda loro e mi lasciano sbollire, ci possono essere varianti ma mi sento di dire che  è l’ipotesi più frequente. Seconda ipotesi: non fanno finta di niente, sono incazzati pure loro per cose che non riguardano me e decidono di passare la serata a fare un verbale per oltraggio a pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni, c’è la denuncia, ci sarà il processo.
Al processo, soldi che paghiamo tutti noi, a parte quelli del mio avvocato difensore che pago solo io, il giudice mi assolve per “tenuità del fatto”. Si ho pronunciato quelle parole ma mi giustifico col l’alterazione dovuta alla sconfitta della mia squadra del cuore, al litigio con la mia fidanzata, alle incomprensioni con mio figlio. Il giudice penale tante volte ste cose le capisce è uomo anche lui, ramanzina e assoluzione. Facciamo finta che mi va male e che incontro un giudice che non è un uomo anche lui, può condannarmi ad una pena fino a tre anni. Realisticamente se veramente il giudice non è un uomo non si arriverà a sei mesi, pena che non sconterò in carcere o in qualunque altro luogo di afflizione. Ho passato un brutto quarto d’ora, ho sopportato delle spese, ma alla fine la vicenda si chiude. Non ho un provvedimento espulsivo. Capisco che è meglio non dire
mi avete rotto i coglioni, a nessuno. Ma torniamo alla vicenda della IKEA di Corsico, il giudice ha scritto che il provvedimento espulsivo è proporzionato, è evidente che di insubordinazione non se ne intende, tutti gli arredi sono rimasti sani, il capo offeso non si è fatto medicare in ospedale, che insubordinazione è quella senza un po’ di scompiglio? “Avete rotto i coglioni” è diverso dal più specifico “tu mi hai rotto i coglioni “. Avete rotto i coglioni è una imprecazione indeterminata anche se pronunciata in un luogo specifico per tempo e circostanze. Quante volte ognuno di noi la pronuncia? La lavoratrice punita con l’espulsione a vita dal posto di lavoro, ha due figli, uno dei due è handicappato, se avesse pronunciato la frase ad un posto di blocco delle forze dell’ordine avrebbe ancora il suo lavoro. Volutamente non ho parlato della condizione di questa lavoratrice, non si tratta di fare il caso umano, siamo umani se riusciamo a non allontanarci dalla questione vera: la certificazione del fatto che il lavoratore o la lavoratrice nella cittadella del profitto, devono stare attenti a quello che dicono e fanno, molto più che se fossero cittadini comuni. Nella cittadella del profitto le regole sono molto più rigide, tutto è scandito anche quando sembra amichevole, tutto alla fine si riduce alla produttività per il padrone, al suo guadagno, al fatto che non gli devi rompere i coglioni. Solo lui può farlo.
Detto questo, in grande amicizia, per me IKEA può anche chiudere stasera io non ci prenderò più neanche uno scaffale, sui giudici di Milano che non scrivono licenziamento ma provvedimento espulsivo, rimane insuperato il giudizio di De Andrè.

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